Dalla diseguaglianza all’infelicità: un modello sbagliato

di Mattia Lepori

 

Ammesso e non concesso che la felicità esista, può la ricchezza contribuire a rendere felici? Secondo R. Wilkinson, K. Pickett, autori di La misura dell’anima. Perché le diseguaglianze rendono le società più infelici, pubblicato per la prima volta nel 2009 e appena riproposto nella serie Saggi Universale Economica della casa Feltrinelli sembrerebbe di sì.

O almeno, se il denaro non dà la felicità, il fatto di non averne contribuisce forse a rendere ancora più infelice chi è povero.

 

Nelle quasi 300 pagine gli autori ci conducono, attraverso una lettura facile e per certi tratti divertente, a (ri-)scoprire come esista una correlazione abbastanza chiara tra diseguaglianza economica e mortalità infantile o speranza di vita. Se queste sono nozioni abbastanza note ai più, è più curioso apprendere che anche nei più disparati settori della vita il fenomeno della disparità economica incide in modo marcato.

 

Così nei paesi dove le diseguaglianze tra i redditi sono più marcate, come gli USA o l’Italia, maggiore è l’incidenza dell’obesità, più alta è la probabilità di finire in carcere o minore risulta essere la mobilità sociale.

 

La diseguaglianza economica condiziona in modo negativo anche i comportamenti dei cittadini, così appare che in questi stessi paesi minore è la fetta di popolazione che ricorre alla raccolta differenziata e al riciclo dei rifiuti e maggiori sono le emissioni di CO2 pro capite, maggiore è la frequenza dell’abuso di sostanze e meno sono le ore settimanali dedicate a sport e movimento fisico.

 

Un analisi per certi versi spietata e feroce ma sicuramente incisiva e ben documentata, di come il modello di sviluppo capitalista il cui successo è basato e si misura essenzialmente sul calcolo grezzo del PIL e non sulla sua reale distribuzione tra le varie fasce della società, possa condurre alla perdita non solo di potere d’acquisto ma anche di beni più preziosi e insostituibili come salute, libertà individuale e qualita del clima.

 

Insomma la lettura di quest’opera ci conferma una volta di più la necessità di agire in tutti i modi, attraverso gli strumenti di lotta più classici e magari anche attraverso nuove forme di protesta, per invertire la tendenza imposta dall’economia ultra-liberare che continua a scavare il fossato (ormai una voragine in certe realtà) tra chi dispone di tutto e di più e chi si ritrova sempre più povero tra i poveri e più debole fra i deboli.