Il valore alla frontiera. Quando le migrazioni e il lavoro interinale si incontrano

di Red

 

Lo storico e ricercatore Paolo Barcella presenta il quadro del lavoro notificato (i lavoratori distaccati) e dei frontalieri interinali attivi in Ticino. Un quadro che rinvia ad una fortissima precarizzazione delle forme di impiego di tutto il mercato del lavoro ticinese, che permette a chi li occupa (come ad esempio le agenzie interinali svizzere) impressionati margini di guadagno.

Dietro questa precarizzazione si celano sfruttamento ed abusi che possono essere contrastati solo attraverso il rafforzamento dei diritti di tutti i lavoratori attivi in Ticino (pensiamo all’estensione dei contratti collettivi, all’introduzione di un salario minimo legale che permetta di contrastare il dumping, al rafforzamento dei controlli, all’inasprimento delle multe nei confronti delle ditte svizzere e straniere che infrangono le regole, al potenziamento del Ministero pubblico per non fare che alcuni esempi. L’esatto contrario di ciò che propone il consigliere federale ticinese(sic!) Ignazio Cassis.

 

 

di Paolo Barcella, Università di Bergamo

 

Quando le frontiere politiche ed economiche, i dislivelli salariali, la frammentazione dei mercati del lavoro e la deregolamentazione del lavoro si incontrano è possibile, con adeguati accordi internazionali, permettere che si generi uno strato di lavoratori interinali transfrontalieri i quali, dal punto di vista di chi li impiega, presentano grandissimi rendimenti economici, bassissimi costi di manodopera e importanti vantaggi fiscali. Un caso emblematico di questo scenario è rappresentato oggi dai lavoratori notificati – una particolare tipologia di manodopera regolarmente attiva nella Confederazione Elvetica – e dagli interinali frontalieri impiegati in Svizzera. Presenterò alcuni dati che riguardano il solo Cantone Ticino, dove l’intensità del fenomeno ne rende particolarmente evidenti alcuni degli esiti più estremi.

 

Nell’aprile del 2017 l’Ufficio di statistica cantonale dedicava un rapporto al tema della flessibilità nel Ticino. Lo studio fotografava le trasformazioni avvenute all’interno del mercato del lavoro cantonale tra il 2002 e il 2015, proponendosi di indagare le dimensioni su cui incidono le varie forme della flessibilità: dalle tutele, agli orari, al trattamento economico del lavoro notturno e festivo, ai luoghi di lavoro, alla mobilità richiesta ai lavoratori. Nel suo insieme la ricerca evidenziava come tra il 2002 e il 2015 si fosse assistito a un incremento degli occupati residenti nel cantone pari a 18.000 unità, di cui 16.000 erano lavoratori a tempo parziale. A fronte di un aumento percentuale complessivo degli occupati pari all’11,7%, si era verificata quindi una crescita del lavoro temporaneo superiore al 40%, mentre quella del lavoro a tempo pieno non raggiungeva il 2%. In altri termini, il lavoro precario trainava la crescita del volume di lavoro in Ticino. In totale, nel 2015, i lavoratori a tempo parziale risultavano così essere 55.000, ossia il 32% dei 170.600 residenti attivi ticinesi: il 73% di loro erano donne, mentre il 31% si dichiarava in stato di sottoccupazione, ossia sarebbe stato disposto a lavorare molte più ore nel caso in cui la controparte imprenditoriale avesse ritenuto opportuno estendere il contratto.

 

In tale quadro, il ruolo dei lavoratori stranieri era decisivo: nell’arco di tempo preso in considerazione, infatti, i lavoratori esteri in possesso di un contratto a tempo determinato avevano conosciuto un aumento esponenziale, passando da 2.312 a 10.062 unità. Gran parte di quei precari di origine non elvetica era costituita da frontalieri oppure, appunto, da notificati. La situazione descritta dalla ricerca statistica si generava insomma al crocevia di due differenti fenomeni: da un lato la precarizzazione del lavoro riflessa anche dall’aumento delle agenzie per il lavoro interinale presenti nel Cantone, aumentare da 11 a 38 unità in soli tredici anni; dall’altro la trasformazione della composizione della popolazione attiva di origine straniera, come conseguenza degli Accordi sulla Libera Circolazione delle Persone siglati con l’Unione Europea nel 1999, ma entrati in vigore nel 2002. Tali accordi ebbero infatti un impatto decisivo sulla politica migratoria della Confederazione, intervenendo in modo sostanziale nel modificare le condizioni del lavoro frontaliero che, secondo la Legge federale del 1931, era stata fin lì un’opzione possibile solo per lavoratori stranieri residenti nella cosiddetta zona di frontiera, ossia entro i 20 chilometri dal confine elvetico, e a condizione che rientrassero in patria ogni sera. Dal 2007, in applicazione degli accordi, vennero cancellate le fasce di frontiera, permettendo la trasformazione del frontalierato in una forma di pendolarismo da lavoro praticabile da qualsiasi regione interna alla UE, senza obblighi di residenza nelle tradizionali regioni di reclutamento e senza necessità di rientri quotidiani nel proprio paese. Nel 2004, inoltre, venne introdotta la figura del lavoratore notificato, al quale veniva riconosciuta l’autorizzazione a svolgere la propria attività professionale in Svizzera per un tempo massimo di novanta giorni, senza un permesso di soggiorno, ma inoltrando una semplice notifica di presenza all’ufficio cantonale di competenza.

 

A tali nuove condizioni e in aggiunta alla crisi economica del 2007/08 che spinse un crescente numero di lavoratori dalla Lombardia a cercare lavoro in Ticino, il numero dei frontalieri e dei notificati iniziò presto ad aumentare toccando quote impensabili pochi anni prima: si passava dai 32.500 frontalieri del 2002 ai 64.000 del 2018, in linea con la variazione nazionale che vedeva i frontalieri in tutta la Svizzera passare da 160.000 a 320.000 unità. Le province di provenienza dei frontalieri italiani continuavano a essere soprattutto quelle di Varese, Como, Verbano-Cusio-Ossola e Lecco, ma una quota crescente (e prossima al 10%) proveniva anche da altre province italiane, così come buona parte dei sempre più numerosi lavoratori notificati. Nel complesso si trattava di decine di migliaia di lavoratori che, rispetto al passato, giungevano nel cantone anche attraverso il reclutamento di agenzie per il lavoro interinale, rimanendo un tempo variabile, con contratti atipici e, nel caso dei notificati, anche per un giorno soltanto.

 

Ma vediamo chi sono i notificati. Visti da vicino, quei lavoratori rappresentano il punto più alto in cui la mobilità, la precarietà e la frammentazione del lavoro si intersecano e convergono. Ogni cittadino europeo, infatti, può essere impiegato come notificato sul territorio della Confederazione, senza un permesso di soggiorno, a partire da una semplice notifica di presenza produttiva inoltrata agli uffici di competenza. Si può diventare notificati nella forma di salariati presso un datore di lavoro svizzero, oppure di salariati da un’impresa italiana distaccati presso una ditta elvetica o, infine, nella forma di lavoratori autonomi: nel 2016 i notificati salariati da un’impresa svizzera erano il 50% circa, i distaccati il 35%, gli autonomi il 15% …

 

 

 

 

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