CCL vendita: un contratto che sdogana il dumping e che preclude l’occupazione ai residenti

di Red

 

È grazie ad operazioni di questo tipo, rese possibili da sindacati che hanno abdicato rispetto ai loro compiti, che continua a crescere il divario salariale tra il Ticino e le altre regioni del Paese.

Le vicende relative al Contratto collettivo di lavoro del settore della vendita, che stanno assumendo contorni a dir poco grotteschi, evidenziano purtroppo per quale motivo cresce la differenza salariale tra il Ticino ed il resto del Paese. Un Contratto collettivo che rappresenta un vero e proprio regalo per i colossi della grande distribuzione, che fissa dei salari inferiori ai livelli delle prestazioni complementari, che legalizza il dumping e che preclude l’occupazione ai residenti. Con 3200 franchi al mese In Ticino non si arriva alla fine del mese. Inspiegabile ed autolesionista l’attitudine di quelle organizzazioni sindacali, a cominciare da Ocst, che prestandosi a questa operazione, hanno evidenziato la loro subalternità rispetto al padronato e ai vertici del Dfe.

 

 

 

Le “trattative” per la sottoscrizione del Contratto della vendita si sono concluse nel giugno 2016. A oltre 2 anni di distanza, e dopo che il termine per la raccolta delle adesioni al Contratto da parte dei piccoli negozi è stato differito innumerevoli volte, negli scorsi giorni, la Commissione paritetica del settore ha annunciato che sarebbe stato raggiunto il quorum per decretare di obbligatorietà generale il Contratto.

 

Servivano 530 adesioni da parte del piccolo commercio e ne sono state raggiunte ben 533. Questo dato la dice lunga sull’opposizione da parte del piccolo commercio nei confronti di una legge sugli orari di apertura dei negozi pensata su misura per i colossi della grande distribuzione, che potranno in futuro contare su orari di apertura più estesi senza versare 1 franco in contropartita!

 

L’operazione relativa all’entrata in vigore di questo Contratto è piena di zone d’ombra e sarà giustamente oggetto di ricorsi, che sono già stati preannunciati dal Sindacato Unia.

 

Basti pensare che 3 anni fa il censimento dei negozi aveva attestato la presenza in Ticino di 2’000 commerci mentre oggi, magicamente, il loro numero sarebbe sceso a 1059. Dati ballerini e sospetti per non dire altro che hanno permesso di centrare il quorum necessario per estendere a tutto il settore questo Ccl.

 

Un contratto collettivo capestro, privo di contenuto, e che fissa dei salari indecorosi. Un vero e proprio guscio vuoto che lede gli interessi delle venditrici e dei venditori e che produrrà danni anche in altri rami professionali. È infatti grazie alla sottoscrizione di questo contratto che il Governo federale ha escluso il Ticino dal campo di applicazione dei salari previsti del contratto collettivo degli shops annessi alle stazioni di benzina! Quel contratto prevedeva dei minimi salariali di 3600 franchi che sono stati giudicati dal Governo federale eccessivi (sic!!) proprio alla luce dell’esistenza del contratto vendita che fissa dei minimi di 3200 franchi.

 

Un contratto, quello della vendita, che contribuisce a sdoganare l’idea che un salario attorno ai 3000 franchi possa essere in Ticino un salario di riferimento. Pazzesco!

 

E se il divario tra i livelli salariali ticinesi e quelli applicati nel resto del paese continua a crescere, se il nostro Cantone si trova nella morsa del dumping salariale e sempre più lavoratori sono in difficoltà lo si deve ad operazioni di questo tipo e all’accondiscendenza di organizzazioni sindacali che da tempo hanno perso la bussola.