Elezioni di midterm

di Marina Catucci

 

Le elezioni di midterm nella storia USA, tranne che per 3 rare eccezioni, non hanno mai premiato l’amministrazione in corso che si ritrova a dover fare i conti con dei nuovi al Congresso.

Nella storia americana il partito del presidente in carica è riuscito a conquistare dei seggi alle elezioni di midterm solo in occasioni eccezionali: nel 1934 con Franklin Delano Roosevelt per via della Grande depressione e grazie alle riforme del New Deal, con Bill Clinton nel 1998, durante il suo secondo mandato, a causa della grande crescita economica, e con George W. Bush nel 2002, l’anno successivo agli attentati dell’11 settembre.

 

Questa presidenza ha confermato la regola: il partito repubblicano e Trump hanno perso, come previsto (più del previsto), la maggioranza alla Camera e non hanno rafforzato di molto quella al Senato.

 

Nel 2016 il Gop aveva conquistato non solo la Casa Bianca ma anche il Congresso, per i democratici riconquistare Capitol Hill era quindi una priorità per tornare ad avere un peso nel governo del Paese, e possibilmente avere almeno la possibilità di considerare un impeachment, che non è un processo giuridico ma politico deciso dal Congresso.

 

Se alla Camera ci si aspettava che non sarebbe stato difficile per i Democratici riconquistare i 23 seggi necessari, la situazione era più complicata al Senato, dove i 35 seggi in ballo erano seggi Democratici, in Stati dove questi avevano difficoltà.

 

L’epilogo è andato oltre le previsioni: alla Camera i democratici sono passati da 193 a 235 rappresentanti, mentre al Senato se prima i Repubblicani detenevano 51 seggi contro i 47 dei Democratici, ora ne controllano 53 contro 45. Si è visto di peggio.

 

Ma il dato più interessante è quello che riguarda la composizione di questo voto. Queste elezioni di midterm, oltre a ridefinire il congresso Usa per i prossimi due anni, sono anche state una ridefinizione identitaria per entrambi i partiti che hanno dovuto decidere quanto a sinistra o all’estrema destra fosse necessario riposizionarsi e come sono cambiati in termini di rappresentanza.

 

 

 

L’ONDA ROSA

 

Un dato significativo è stato quello riguardante la presenza femminile; le donne americane, in ere recenti, non sono mai state così mobilitate e non ci sono mai state così tante candidate alla scalata del Congresso. C’erano ben 257 candidate in corsa per questo midterm, le deputate, in particolare, hanno toccato una vetta storica superando i 100 seggi.

 

Secondo i dati forniti dal Center for Women and American Politics (CAWP) di Rutgers, in New Jersey, 61 donne, 41 democratiche e 20 repubblicane, si sono presentate per la nomination alla carica di governatore, e per quella carica hanno effettivamente corso 12 democratiche e 4 repubblicane.

 

Incrociando i dati di genere con quelli delle minoranze, questo midterm ha visto, sempre tra le file dei Democratici, la vittoria al Congresso delle prime donne musulmane (Ilhan Omar in Minnesota e Rashida Tlaib in Michigan), come della prima donna nativa americana al Congresso (Deb Haaland in New Mexico), e della prima donna transgender nominata governatore (Christine Hallquist in Vermont).

 

Da questi dati si evince che i Democratici, per motivare gli elettori, hanno deciso di arrivare al voto di midterm puntando sull’energia e sull’entusiasmo verso l’innovazione, mentre i Repubblicani hanno scommesso più sulla paura e l’avversione al cambiamento, i cavalli di battaglia di Trump e delle destre populiste di tutto il mondo. In Texas, dove l’astro nascente liberal Beto O’Rurke è arrivato vicinissimo alla vittoria al Senato contro il super solido Ted Cruz, non solo c’è stato un risultato inaudito conosciuto come “Black Girl Magic”, arrivato dalla contea di Harris, dove 19 donne afro-americane hanno corso per diventare giudice, e tutte e 19 hanno sono state elette, ma sono state elette, per la prima volta, delle donne di origine latinoamericana a rappresentare il Texas nella Camera dei rappresentanti.

 

 

 

L’IDENTITÀ DEI DUE PARTITI

 

Nella misura in cui “politica identitaria” significa concentrarsi sulle caratteristiche demografiche di un partito, piuttosto che sulla sua ideologia, il midterm del 2018 dovrebbe essere considerato come un’elezione basata sulla politica identitaria.

 

La cosiddetta resistenza americana che ha portato a questo punto è cominciata con la marcia delle donne, il 21 gennaio 2017, il giorno seguente l’insediamento di Trump alla Casa Bianca, e che, mobilitando più di 5 milioni di persone in tutti gli Stati Uniti, è diventata la più grande manifestazione della storia Usa, con il fine dichiarato di difendere le leggi e le politiche in materia di diritti umani, diritti delle donne, la riforma dell’immigrazione, la riforma sanitaria, il diritto all’aborto, la protezione dell’ambiente, i diritti Lgbtq, l’uguaglianza razziale, la libertà di religione, i diritti dei lavoratori.

 

Questa presa di posizione femminile ha preparato il terreno per il movimento che ha scosso gli Usa in molti campi, il movimento #MeToo contro le molestie e le aggressioni sessuali. Su questo terreno si è svolta, un anno dopo, nell’ottobre 2018, un mese prima del midterm, l’audizione del giudice ultra conservatore Brett Kavanaugh, scelto da Trump come nuovo membro della Corte Suprema degli Stati Uniti. Nonostante le accuse di aggressione sessuale e la testimonianza sotto giuramento della professoressa californiana Christine Blasey Ford che ha scosso l’opinione pubblica americana da destra a sinistra, Il giudice Kavanaugh è stato confermato dal voto del Senato con un margine minimo di 50 a 48; la nomina del giudice ha portato migliaia di donne a manifestare per giorni, a radunarsi davanti la corte e a cercare di occupare il Congresso, e mai come in questo caso l’identità del partito repubblicano si è assestata su quella del maschio bianco eterosessuale di mezza etá, mentre fuori dall’aula del senato venivano arrestate centinaia di attiviste liberal e democratiche. Queste donne hanno votato.

 

 

 

I GIOVANI AL VOTO

 

A votare, in termini di affluenza record, sono stati anche i giovani nella fascia di età tra i 18 ed i 29 anni. La differenza questa fascia di età l’aveva già fatta durante le primarie per i candidati in corsa; ”Mentre stavo recandomi al mio quartier generale, la notte elettorale, ho incontrato due ragazzi su i 19/20 anni che, riconoscendomi, mi hanno detto ‘Hey, oggi noi abbiamo votato per te’. In quel momento ho pensato che forse avrei vinto”. Così ha raccontato la 28enne socialista Alexandria Ocasio-Cortez a proposito della sua inaspettata vittoria contro il candidato dell’establishment, alle primarie democratiche per il 13esimo distretto di New York, spiegando quanto il voto dei giovani avesse cambiato il risultato di una corsa al Congresso che sembrava già scritta.

 

Per questo midterm in molti Stati le percentuali dei giovani che si sono iscritti al voto sono salite fino ad oltre il 10%, dato inusuale per questo tipo di elezione. A contribuire a questa inversione di rotta sono stati diversi elementi: la presenza di candidati nuovi, giovani, capaci di galvanizzare e di mobilitare, arrivati per la maggior parte dalle file dei sostenitori del senatore socialista Bernie Sanders, come la stessa Ocasio-Cortez, e il movimento per il controllo delle armi Never Again, fondato e guidato dagli studenti della Marjory Stoneman Douglas High more di Parkland, in Florida, scuola superiore dove il 18 febbraio di quest’anno uno studente ha aperto il fuoco ed ha ucciso 17 persone, ferendone decine.

 

Never Again, grazie al un uso intelligente dei social network, è diventato in poco tempo un movimento capace di portare in piazza centinaia di migliaia di manifestanti che chiedevano azioni concrete per limitare le armi in Usa. I ragazzi di Never Again hanno subito inviato un messaggio molto chiaro: a novembre molti di noi voteranno, e voteranno solo i politici che non accettano soldi dalla National Rifle Association, Nra, la lobby delle armi, grande finanziatrice repubblicana. Il risultato di questi due elementi, irrorato dalla reazione di resistenza provocata dalla presidenza Trump, ha tolto un’intera generazione dall’apatia in cui erano immerse le generazioni precedenti.

 

E qui è entrato in gioco un terzo elemento, forse il più interessante, quello della scoperta del socialismo da parte del popolo americano, specialmente la nuova generazione.

 

 

 

LA SCOPERTA DEL SOCIALISMO

 

I giovanissimi nati dopo la guerra fredda, che non hanno subito la propaganda del pericolo rosso, non sembrano avere dubbi: chiamati a scegliere tra il sistema capitalistico che impedisce loro di avere accesso a tutta una serie di servizi che dovrebbero essere scontati in una società avanzata come quella americana, come il diritto allo studio, o a una copertura sanitaria, e il socialismo, che promette di garantire tutte queste cose, hanno dimostrato di non avere remore, e di voler provare questo secondo sistema, di cui non hanno timore pregresso.

 

Quando si pensa al socialismo americano bisogna in realtà pensare alla socialdemocrazia; il Dsa, democratic socialist of America, in meno di un anno è passato dall’avere 7000 iscritti ad averne quasi 60000, e sedi non soltanto nelle due coste liberal, o negli Stati che ospitano grandi città come Chicago, ma anche negli Stati conservatori del sud come il Tennessee.

 

Questa scoperta del socialismo da parte degli americani viene fatta risalire alla crisi economica globale del 2008, alla quale ha fatto seguito, tre anni dopo, il momento di Occupy Wall Street, che ha puntato il dito proprio nella direzione del capitalismo come matrice di tutti problemi che stavano investendo gli Stati Uniti e non solo.

 

A completare l’opera è arrivato il senatore Bernie Sanders che ha sfidato Hillary Clinton proprio proclamandosi socialista, non temendo un termine che solo 8 anni prima, durante la campagna elettorale del 2008, era un insulto rivolto ad Obama. Dopo la sua controversa sconfitta nelle primarie del 2016, Bernie Sandor ha fondato un vero e proprio movimento politico, Our Revolution, ed ha chiesto ai suoi giovani sostenitori di entrare in politica, passando dall’attivismo delle retrovie a quello della prima linea, come ha fatto appunto Alexandria Ocasio Cortez e molti dei neoeletti di questo midterm.

 

Ed ora questo è il bivio, sempre identitario, in cui si trova il partito democratico, se abbracciare l’onda rossa socialista o se continuare con l’establishment di Washington, per affrontare la vera sfida delle presidenziali, nel 2020.

 

 

 

 

 

Quaderno 19 / Gennaio 2019