di Chiara Landi resp. Gruppo donne Unia
Il presidente della SSIC Gian Luca Lardi (CdT 12 maggio) ci mette in guardia dai pericoli dei fischietti che rischierebbero di «stordire» la politica. l pensiero di Lardi è più che mai coerente: dalla battaglia sulla deregolamentazione degli orari e dei tempi di riposo, Lardi passa a quella contro i controlli che le organizzazioni sindacali da tempo chiedono per realizzare finalmente il principio costituzionale della parità salariale.
Nella sua analisi Lardi contesta le statistiche che evidenziano la disparità salariale tra uomo e donna, arrivando a sostenere che la discriminazione salariale sia solo presunta e tutt'altro che accertata.
Il metodo statistico utilizzato dall'Ufficio federale di statistica sonda l'esistenza di un divario retributivo relativo a due categorie di persone (uomini e donne). Il 14 maggio 2018 l'UST ha pubblicato la rilevazione della struttura dei salari 2016, accertando che nel settore privato le donne guadagnano il 14,6% in meno degli uomini. Questa differenza è il frutto di una discriminazione strutturale che gli economisti definiscono «segregazione occupazionale».
Le donne, infatti, non solo hanno difficoltà nella progressione di carriera - difficoltà che le porta a occupare i livelli più bassi della scala salariale all'interno di una stessa azienda -, ma tendono ad essere concentrate nei settori di attività a basso livello retributivo. Sempre in riferimento alla rilevazione per il 2016, nei rami economici a basso salario (commercio al dettaglio, industria dell'abbigliamento, servizi personali), la manodopera è infatti prevalentemente femminile.
Ancora oggi l'accesso delle donne al lavoro salariato è realizzato nel quadro di una divisione sessuale dei compiti sia sul posto di lavoro sia nella vita privata, che impone loro lunghe interruzioni del percorso professionale. Le lavoratrici, inoltre, a causa di questa asimmetria, sono obbligate a ripiegare su occupazioni a tempo parziale, che le mette in una situazione di svantaggio.
È vero che le condizioni quadro dell'attuale stato sociale non permettono alle donne di conciliare il lavoro con le cure familiari a causa delle carenze nell'accesso ai servizi per l'infanzia. Ciò che Lardi non dice, però, è che la concentrazione femminile nelle basse fasce salariali è soprattutto il frutto di un sistema economico che preclude di fatto alle donne di avere una vita professionale solida che possa garantire loro una reale indipendenza economica, relegandole ad una condizione di precarietà strutturale.
Una maggiore flessibilizzazione non garantirebbe affatto il superamento delle discriminazioni, ma favorirebbe l'aumento della precarietà, condannando le donne ancora una volta ad una condizione di insicurezza e instabilità. L'opposizione all'introduzione di controlli salariali e di sanzioni nel caso di infrazioni è indegna. Dobbiamo dotare la legge di quel pragmatismo che manca per garantirne la reale osservanza.