di Eolo Morenzoni
Da noi non succede, ma solo perché non si può dire. Omertà, riferisce il dizionario Treccani, nel suo senso estensivo, “corrisponde a quella solidarietà che, dettata da interessi pratici o di consorteria, consiste nell’astenersi volutamente da accuse, denunce, testimonianze, o anche da qualsiasi giudizio nei confronti di una determinata persona o situazione”.
Parliamo di cose concrete, qui da noi a sud delle Alpi. Il sistema Gucci in Ticino si è basato per un ventennio sull’evasione fiscale dell’impresa e dei suoi manager. Nel caso di quest’ultimi, ad esempio, il sistema si reggeva sulla complicità delle autorità a vari livelli. Dalle autorità fiscali compiacenti nel rilasciare statuti inverosimili, agli uffici della migrazione che dimenticavano di verificare la presenza sul territorio, ai comuni che a loro volta non esercitavano l’obbligo di controllo. Nel giocare alle tre scimmiette, pure la Magistratura e la Polizia.
La ventina di manager di Gucci fittiziamente residenti in Ticino, rischiano teoricamente una pena detentiva fino a tre anni o una multa per aver fornito informazioni false (art 14). Ve la vedete la Magistratura indagare su delle persone probabilmente istigate a dichiarare il falso dalle autorità cantonali?
Un’omertà sulla criminale evasione fiscale dettata da interessi pratici personali diretti e indiretti (dal clan dei Masoni all’adottivo figlioletto Vitta, per citarne solo alcuni), retta per anni dai media locali e dalla vulgata di prezzolati intellettuali. Quello stuolo di professori sempre pronti a glorificare l’innovativo settore moda con pomposi studi, quando la triste realtà di Gucci erano uffici di fatturazione e addetti a spostare merci e attaccare etichette come fossero dei robot per quattro soldi.
Tra i professori più attivi nella propaganda dell’elogio di una politica economica cantonale fondata sull’evasione fiscale, brillano Rico Maggi e Mauro Baranzini col famoso studio pagato dai contribuenti “oltre il gaudo” del 2015. Tutti sapevano che l’ipocrita giochino si sarebbe rotto il giorno in cui chi subiva il furto dell’evasione si sarebbe incazzato.
Solo un’idiota poteva illudersi che la balla del 70% di utili miliardari globali di Gucci dichiarati nell’anonimo villaggetto di Cadempino potesse durare all’infinito. Tutti ne erano coscienti, ma guai a dirlo. È perfino vietato dirlo ora che la Gucci sta riempendo le sue valigette in vimini da quattro mila franchi per abbandonare il Ticino, lasciandoci dei magnifici capannoni.
L’editto sull’omertà l’ha lanciato proprio il professor Baranzini, puntando l’indice contro chi ha osato raccontare l’ipocrisia del sistema Gucci nel servizio giornalistico di Falò. Il professore, dal palco offerto dalla trasmissione Plusvalore (Rete2) d’inizio settimana, ha titolato: “Quando i servizi d’informazione rischiano di far male al nostro Paese”. Nel succo, Baranzini non accusa la giornalista di Falò di aver detto cose false, ma di averle dette pubblicamente (addirittura all’estero), rompendo l’omertà del sistema Paese su cui si reggeva.
È come dire che il discredito nel mondo dell’Italia berlusconiana era tutta colpa dei giornalisti che riferivano del bunga-bunga del presidente. Oppure affermare che, se perfino in Cambogia pensano che Trump sia un bugiardo seriale, la colpa è della stampa che smaschera le sue balle.
Ma come in ogni editto che si rispetti, non manca la velata minaccia. “Un servizio come questo arrischia di fare molto male al nostro Paese, proprio a quel Paese che il 4 di marzo del 2018 (No Billag) ha dato fiducia alla sua radiotelevisione pubblica con generosi mezzi finanziari pagati da noi tutti cittadini-utenti”. Capito mi hai?