50 anni pride

di Marina Catucci, corrispondente da New York

 

Il WorldPride quest'anno è arrivato a New York per celebrare il 50° anniversario della rivolta di Stonewall, che viene generalmente e simbolicamente considerata come la data di nascita del movimento di liberazione gay in tutto il mondo.

Tutto iniziò poco dopo l’1:20 nella notte tra il 27 e il 28 giugno del 1969, quando la polizia fece l’ennesima irruzione in un bar gay del Greenwich Village a Manhattan, lo Stonewall Inn, e per la prima volta, la comunità Lgbtq si ribellò alle forze dell’ordine. A dare il via alla protesta, lanciando una bottiglia contro un agente dopo essere stata presa a manganellate, fu una donna transessuale, Sylvia Rivera, a cui ora è dedicata la via dello Stonewall, ed il suo esempio fu seguito dal resto degli avventori e dalla piccola folla accorsa, quasi 2.000 persone, che si scontrarono con gli oltre 400 poliziotti mandati in rinforzo.

 

Il giorno dopo, il 28 giugno, ci fu la prima sfilata dell’orgoglio omosessuale: transessuali, gay, lesbiche scesero in strada per rivendicare rispetto, giustizia, diritti, e le proteste durarono 3 giorni; da allora ogni 28 giugno si celebra quella rivolta con pride locali ed un grande pride mondiale, quello di quest anno è il primo WorldPride ospitato nel suolo degli Stati Uniti e il secondo World American Pride.

 

 

 

LA NOTTE DELLO STONEWALL

 

“Quella notte avevo 21 anni - racconta Mitch, avvocato in pensione ora 70enne - vivevo ad Albany, che sarà anche la capitale amministrativa dello Stato di New York ma era, ed è, una cittadina di provincia e conservatrice. Io sono uscito allo scoperto molti anni dopo, nel frattempo mi sono sposato ed ho anche avuto una figlia. Ci ho messo 20 anni per ammettere davanti al mondo, alla mia famiglia, ma principalmente davanti a me stesso di essere gay, mentre quello che ora è il mio compagno quella sera era accorso allo Stonewall. Bart - prosegue indicando il suo compagno a fianco a lui - è nato e cresciuto a Manhattan, girava per Christopher street, la via gay per eccellenza, da quando aveva 16 anni, non si nascondeva, nonostante non fossero di certo momenti facili, nemmeno per la città più aperta ed eretica del mondo. Io avevo saputo della rivolta dello Stonewall mentre conducevo la mia vita di basso profilo in provincia ed avevo pensato che quelle persone fossero pazze a scagliarsi contro la polizia, le istituzioni, il senso comune, e che fosse più sicuro nascondersi; avevo paura, ho avuto paura per metà della mia vita, gli eventi di quella notte, però, hanno iniziato a darmi coraggio”.

 

“Mentre ero lì quella notte di giugno non avevo la minima idea di star assistendo a un evento storico - racconta Bart - più che altro, come tutti i miei amici, ero esasperato dalle forze dell’ordine che invece di proteggerci, come gli altri cittadini, ci tormentavano. Non davamo fastidio a nessuno, non molestavamo nessuno, ma non potevamo stare in un bar in pace. Io non ero allo Stonewall, ero in giro per Christopher street ma quando la notizia si è sparsa, come molti di quelli che erano nel quartiere, sono accorso, e vedere altri gay ribellarsi, rompere la catena della vittima è stato davvero liberatorio. Io pensavo fosse un’esperienza personale, un mio respiro di sollievo, invece quella notte ha marcato uno spartiacque. Erano anni formidabili”.

 

 

 

DAL PRIDE ALL’ANTICAPITALISMO

Cosa è cambiato nelle forme di lotta da quegli anni ad oggi?

 

“Beh, quelli erano anni epocali, diciamo tutta una decade epocale - spiega Bart - Si stavano abbattendo tante barriere: i diritti civili degli afroamericani, quelli degli omosessuali, le donne non accettavano più il ruolo che gli era stato assegnato, c’era la lotta contro la guerra in Vietnam, solo che tutte queste lotte erano personali, come scollegate tra loro, ed a volte si era anche in contrasto, come tra comunità afroamericana e comunità omosessuale. Ora, specialmente negli ultimi anni direi, c’è la consapevolezza che quelle contro patriarcato, omofobia, capitalismo, transfobia, razzismo, sono la stessa guerra. Davanti lo Stonewall recentemente si sono svolte molte manifestazioni dove si sono visti cartelli che chiedevano i diritti dei migranti o un minimo sindacale di $15 all’ora. Cosa c’entra com i diritti Lgbtq? C’entra perché chi non vuole i transessuali nell’esercito non vuole nemmeno che i migranti abbiano diritti, che gli afroamericani non siano discriminati e che lo stipendio minimo sia dignitoso. Ai nostri tempi non lo si capiva, ora lo si è capito”.

 

Lo Stonewall Inn è stato dichiarato monumento nazionale, proprio per rimarcare il valore storico di quegli eventi; davanti il bar c’è un piccolo parco triangolare dedicato a “ogni tipo d’amore”, con le statue di una coppia di donne e una coppia di uomini che si baciano, e una targa posta dal comune di New York che ricorda gli scontri di quei giorni e di come fossero stati necessari per cominciare a costruire una normalità fatta di pari diritti.

 

 

 

LA LOTTA È CAMBIATA, NON FINITA

 

“Ci siamo avvicinati, abbiamo fatto enormi passi avanti ma altri ne dobbiamo fare - dice Arline, volontaria nell’organizzazione del pride, 42 enne canadese ma newyorchese di adozione visto che ci vive da 30 anni - Ci sono state le legalizzazioni locali dei matrimoni gay, poi il loro riconoscimento federale, si possono adottare bambini, formare delle famiglie; la lotta ora è più per la comunità transgender che è sotto attacco da parte di questa amministrazione. Io sono antimilitarista, ma non capisco perché ai transgender debba essere impedito di entrare nell’esercito, così come lo era agli omosessuali fino all’epoca di Bill Clinton. Fino a che ci saranno queste discriminazioni non smetteremo di lottare. Ora nella città e nello Stato di New York abbiamo delle amministrazioni molto sensibili ai nostri diritti, e la first lady cittadina, Chirlane De Blasio, non ha mai fatto mistero dell’essere stata in una relazione lesbica prima di incontrare suo marito. Ma è un po’ un’isola felice alla quale, dall’esterno, bisogna guardare. Una legge recente voluta dal sindaco consente alle persone transgender di cambiare la definizione di genere sui propri documenti semplicemente compilando dei moduli, invece che passando per estenuanti visite mediche e perizie psicologiche volte a definire chi si è. Ora basta mettere una croce su maschile, femminile o non binario, e non è un piccolo passo se stai affrontando una transizione di genere”.

 

 

 

IN DIFESA DELLA COMUNITÀ TRANSGENDER

 

Che la lotta ora sia prevalentemente per i diritti delle persone transgender è chiarissimo alle nuove generazioni, come spiega Jarod, 20 anni, studente di scienze naturali che da poco ha completato la transizione da femminile a maschile, e che è attivo nel collettivo per i diritti dei transgender dell’università della città di New York, Cuny. “Ancora molte persone non capiscono che essere transgender non è una scelta e che cambiare genere non è desiderare un nuovo taglio di capelli o perdere peso: è la propria identità ad essere in discussione. È doloroso. A questo non è giusto sommare tutta una serie di difficoltà ulteriori per rivendicare il diritto ad essere considerati come gli altri davanti alle istituzioni. La lotta cominciata 50 anni fa è cambiata ma non è finita” Nelle ultime elezioni di midterm che si sono svolte a giugno sono stati eletti deputati transgender, governatori gay, e da qualche anno l’assessore comunale più amato e noto a New York è Corey johnson, gay dichiarato che non fa mistero della propria siero positività e del buco nero fatto di eccessi alcolici e tossicodipendenza dove era finito quando, 20enne, aveva scoperto di essere Hiv positivo. La storia della sua rinascita grazie al sostegno della sua famiglia e di un’associazione che si occupa di assistenza (medica, psicologica, legale) delle persone siero positive, così come dei diritti LGBTQ, è stata resa pubblica da lui stesso, non solo come esempio di forza, cambiamento, di nuove possibilità, ma anche per l’importanza che ha finanziare questo tipo di organizzazioni pubbliche che sono cruciali, e che a livello federale sono sotto attacco da parte dell’amministrazione Trump.

 

 

 

IL PRIMO CANDIDATO GAY ALLA PRESIDENZA USA

 

Con l’entrata di Pete Buttigieg nella corsa per le presidenziali del 2020 si è spazzato via un altro tabù, in quanto il sindaco di South Bend, in Indiana, è il primo candidato gay della storia statunitense; al momento non si sa nemmeno se Buttigieg passerà le primarie diventando il candidato democratico a sfidare Trump, ma la sua candidatura a fianco di suo marito, Chasten Glezma è già un avvenimento di svolta. “Il presidente Obama diceva che il progresso non è un processo lineare, ha degli inceppi, ma è comunque inarrestabile - dice Patrick, 32 enne anche lui impegnato come volontario nell’organizzazione delle celebrazioni dello Stobewall - Qualche anno fa ero davanti allo Stonewall a piangere i morti nella strage della discoteca gay di Orlando, in Florida, dove sono morte 49 persone in un mass shooting. Le discoteche per la comunità gay sono come delle chiese, dei posti dove ti senti al sicuro. Magari i tuoi genitori non ti accettano, sul lavoro ti ridono dietro, ma lì non corri pericoli. Era stato uno shock tremendo. Per giorni davanti allo Stonewall ci sono state veglie, fiori, candele, canti, lacrime, perché è un po’ la chiesa madre. Pochi giorni dopo c’è stato il pride ed a New York sono arrivate un milione e mezzo di persone, etero, gay, transgender, per portare davanti lo Stonewall altri fiori, altre preghiere: erano i morti di tutti, non solo di una parte di popolazione. Quest’anno si aspettano 3 milioni di persone ed abbiamo il primo candidato gay della storia Usa. Aveva ragione Obama: il progresso è inarrestabile”

Tratto da: