di Ronnie David
L'innalzamento dell'età pensionabile, o meglio l'allineamento dell'età pensionabile delle donne rispetto a quella degli uomini non deve essere un tabù o una difesa ad oltranza dello status quo per ragioni conservatrici.
Certo, in primo luogo va valutato quale sia il senso di innalzare l'età pensionabile in un epoca in cui le fasce più giovani della popolazione faticano tremendamente ad entrare nel mondo del lavoro, e faticano tremendamente ad entrarci con dei contratti di lavoro che assomiglino a qualche cosa di serio.
Ma è altresì vero che la generazione dei baby boomer è prossima al pensionamento e perciò la manodopera può essere attinta innalzando l'età del pensionamento. Peccato tuttavia che gli "anziani" costino molto e le aziende non vedano l'ora di sbarazzarsene con conseguente importante difficoltà di reinserimento nel mercato del lavoro degli over 55.
Ma se ne può parlare senz'altro, ci si può sedere al tavolo e discuterne nel preciso istante in cui le donne non avranno un salario mediano di oltre 700 franchi mensili inferiori in busta paga, dal momento che non ci sarà un 15% in meno di donne che beneficiano di un secondo pilastro, dal momento che il lavoro domestico verrà riconosciuto come lavoro e dal momento che nei ruoli di quadri vi sia una presenza paritaria tra donne e uomini. Ma anche dal momento che il parlamento metterà controlli vincolanti sul mercato del lavoro per lottare contro la discriminazione di genere. A quel punto si potrà sicuramente iniziare a riflettere.
Purtroppo avanti di questo passo di anni per potersi sedere al tavolo ce ne vorranno almeno altri 40. Con buona pace di Berset e dei suoi amici che saranno già in pensione da un pezzo. Nel frattempo però qualsiasi riforma AVS che preveda l'innalzamento dell'età pensionabile delle donne va semplicemente respinta al mittente.