di Francesco Bonsaver
Oggi a Lugano corteo del Centro sociale autogestito in risposta alla volontà di escludere l'autogestione dall'ipotetico futuro dello spazio ex Macello. Ventitré anni di esistenza di uno spazio autogestito saranno cancellati da un messaggio comunale?
Ne sembra convinto il Municipio luganese, al cui auspicio si è accodata la maggioranza del Consiglio comunale, adottando il messaggio per un concorso di riqualifica del sedime dell’ex macello, sede da 17 anni del Centro sociale autogestito (Csoa) il Molino, nel quale si esclude espressamente l’autogestione dal futuro utilizzo dell’intera area. La risposta del Molino sarà il corteo indetto questo sabato 14 settembre, ore 13.30 al Cinestar (lato fiume), per rivendicare il diritto a esistere dell’autogestione.
La scorsa primavera, il Consiglio comunale approvò a maggioranza il messaggio municipale per il finanziamento, con mezzo milione di franchi, di un concorso d’architettura sullo spazio dell’ex macello, «destinato ad accogliere contenuti culturali, performativi, artistici e multidisciplinari incentrati sulla partecipazione attiva». Termini che ricordano molto quanto già oggi propone il Molino su quel sedime da quasi vent’anni. E lo fa a costo zero per la collettività, poiché il Molino non riceve nessuna sovvenzione pubblica e paga regolarmente le fatture di energia, acqua e rifiuti. L’affitto non lo paga, perché così decise l’esecutivo luganese quando mise a disposizione lo spazio firmando la Convenzione nel 2002.
All’interno, vi è un’ampia sala concerti, una sala cinema o conferenze, uno spazio di libri e riviste, una palestra, una mensa che quotidianamente propone cene al prezzo sociale di cinque franchi e due bar. Lo spazio è accessibile gratuitamente, salvo in occasione di eventi o raccolte fondi per iniziative solidali, quando si paga cinque franchi l’entrata. Nei fine settimana, sono centinaia i giovani e meno giovani che vi bazzicano. Nell’arco dei due decenni, si può stimare che siano svariate decine di migliaia le persone che lo hanno frequentato. I ricavi delle numerose attività proposte dal Molino, ottenuti grazie al lavoro gratuito dei militanti, sono reinvestiti negli eventi, nei costi di gestione, nel mantenimento della struttura o nel sostegno a iniziative di solidarietà. I problemi legati ai rumori molesti durante i fine settimana, paiono limitati, soprattutto perché la struttura è circondata da uffici e scuole, mentre gli appartamenti si contano sulle dita di una mano. Paradossalmente, il Molino sembra disturbare meno in centro città che nella precedente sede periferica del Maglio, dove il suono saliva disturbando il sonno dei residenti di Canobbio. Se risultano irrilevanti i problemi di ordine pubblico, al centro sociale si possono imputare infrazioni di tipo amministrativo, legate ai vari permessi di mescita ed eventi, poco applicabili alla pratica dell’autogestione.
Fatte le premesse, rimane l’interrogativo sul perché i politici luganesi vogliano cancellare la ventennale esperienza di uno spazio autogestito, contrariamente alle altre grandi città elvetiche.
Il Molino, per sua natura, è in contrapposizione col sistema. Lo è da sempre. Le generazioni di militanti che si sono succedute nei due decenni, hanno un filo rosso rimasto immutato nel tempo: anticapitalismo, antifascismo, femminismo, antiautoritarismo. Sono contro il patriarcato, contro il precariato lavorativo ed esistenziale dei giorni nostri, contro la globalizzazione selvaggia, per un mondo senza confini dove prevalga la solidarietà e il libero diritto alle persone di migrare; ecologisti, antiproibizionisti, contrari alle logiche guerrafondaie, allo sfruttamento dell’uomo sull’uomo e schierati a difesa del diritto all’autodeterminazione dei popoli: ecco alcuni dei principi immutati nella storia dei “molinari”.
Ma, soprattutto, è la pratica dell’autogestione il perno di funzionamento dello spazio. Ciò non significa che non vi siano regole all’interno dell’ex macello, ma che queste sono state prese collettivamente in assemblea, unico centro di “potere” decisionale al Molino.
Ad esempio, è vietato lo spaccio di qualsiasi sostanza, è proibito fumare negli orari di prima serata nella zona bar-mescita o in presenza di bambini, non sono assolutamente tollerati atteggiamenti omofobi, razzisti e offensivi nei confronti delle donne. Un’altra particolarità del potere decisionale al Molino, è che nelle assemblee non si vota, le decisioni sono prese all’unanimità.
Visto le peculiarità del Molino sopra descritte, ben si capiscono le difficoltà nel confronto con le autorità cittadine, in particolare negli ultimi anni a maggioranza leghista. Anche se, va ricordato, quando era in vita il padre-padrone del movimento, Giuliano Bignasca, quest’ultimo si era schierato più volte in maniera aperta o discreta a sostegno dei “molinari”.
Se uno spazio simile ha potuto resistere per lungo tempo in una città a maggioranza ostile, è frutto dei rapporti di forza che il Molino ha saputo mantenere negli anni e, sul fronte istituzionale, della capacità di una classe politica sufficientemente intelligente e pragmatica nel comprendere la legittimità di una minoranza consistente della popolazione di avere spazi in cui potersi aggregare.
«L’autogestione è la nostra cattiva coscienza, la spina che ci obbliga a guardare in faccia le cose. Possiamo tentare di ignorarne l’esistenza, rinviando il problema a domani e fingendo di non vedere; oppure possiamo tentare di imparare il suo linguaggio, e di darle la fiducia che si è meritata con la sua tormentata storia», scrisse su queste pagine Fabio Pusterla, uno dei più illustri poeti che il nostro territorio possa internazionalmente vantare, in occasione dei dieci anni del Molino. Questo sabato, la popolazione che condivide l’esistenza di spazi autogestiti, darà un segnale importante affinché la sua storia possa proseguire.
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