di Loris Campetti
Mentre nel governo montano le difficoltà nell’affrontare le sfide del paese, l’altra Italia dà segnali di vitalità.
Sebastian Vettel che per sorpassare il suo resistente compagno di squadra Charles Leclerc schianta le due rosse e butta fuori dal circuito brasiliano di F1 la Ferrari, eccellenza italiana come il parmigiano bastonato dai dazi trumpiani, è l’ennesima metafora del governo giallorosa, con Renzi che attacca Conte, Zingaretti e Di Maio, Di Maio che se la prende con Conte, Zingaretti e Renzi, e il Pd diviso tra militanti dei diritti civili (ius soli e ius culturae) e difensori di quelli sul lavoro (Ilva, Whirlpool, Bekaert e altri 150 punti di crisi). Ai box Salvini se la ride, come Verstappen a Interlagos.
Una metafora tira l’altra: Venezia che affonda, sommersa dalle acque di una laguna scavata per consentire alle grandi navi di violarla e brutalizzata dal malaffare di un Mose senza senso mai decollato, Liguria, Nordest, Campania e Matera che franano, Reno, Arno e Tevere che straripano, mettono in scena la fragilità di un territorio sfruttato peggio di un nigeriano piegato nei campi a raccogliere pomodori. I vizi italiani si sommano agli effetti micidiali dei cambiamenti climatici e il Conte 2 della new green economy rischia di perdersi persino le tasse sulla plastica, per arginare il fuoco amico. Fragilità è la cifra di un governo che paga per le colpe di chi l’ha preceduto, ma anche per la sua conflittualità interna che offusca ogni visione.
La fragilità della politica non è affare solo giallorosa né solo italiano: le multinazionali comandano ovunque. Non è facile districare i troppi nodi irrisolti della più grande acciaieria d’Europa, chi li sfrutta è ArcelorMittal che se la compra per chiuderla come ha già fatto in Francia, Belgio, Canada e Usa, svuota i forni e si rivende materie prime e acciaio prodotto per 500 milioni di euro, nascondendosi dietro la cancellazione dello scudo legale che garantiva l’impunità per l’avvelenamento umano e ambientale. Due procure indagano sul gigante indiano, per appropriazione indebita, crisi pilotata da sei mesi e fatture non pagate; i giudici costringono l’azienda a sospendere l’iter della chiusura dei forni mentre gli operai e i fornitori frodati dalla multinazionale bloccano i cancelli. Nel governo si confrontano più ipotesi: commissariare l’azienda, nazionalizzarla o costringerla a mantenere il suo impegno, magari affiancandola con una presenza pubblica (Cassa depositi e prestiti), cedendo sullo scudo fiscale e dimezzando il numero di operai da giubilare (2.500 invece dei 5.000 minacciati).
Lo scontro nell’esecutivo si infittisce sul salva-stati siglato da Conte con l’Ue e contestato da Di Maio e sulla legge di bilancio in discussione in Parlamento. Alla faccia dell’accordo raggiunto nell’esecutivo, sono 1.500-2.000 gli emendamenti delle sole forze di maggioranza con cui si rimettono in discussione i punti qualificanti della finanziaria, dalla lotta all’evasione alla riduzione del cuneo fiscale per i lavoratori dipendenti. Zingaretti resta solo, con la stampella di Articolo 1, a sostenere il premier Conte, ma la pazienza ha un limite. Nella tre giorni di assemblea a Bologna – la Stalingrado d’Italia, dove alle regionali di gennaio il Pd si gioca tutto – il segretario ha rilanciato l’impegno a rivedere le leggi salviniane sulla sicurezza, chiesto persino da Mattarella, e a varare ius soli e ius culturae per dare la cittadinanza ai migranti nati in Italia o che qui hanno completato gli studi. Immancabile l’attacco di un Di Maio orfano di Salvini: così fate cadere il governo.
Per fortuna l’Italia non è solo questo. L’altra Italia ha dato un nuovo, forte segnale di vitalità per dire che fermare l’onnipresenza tracotante di Salvini si può. 4 ragazzi bolognesi hanno lanciato un appello in rete per rispondere al comizio del bullo del Papeete al PalaDozza (5.600 posti) con una manifestazione muta, addirittura nella Piazza Grande di Lucio Dalla. Tutti muti come sardine abbracciate l’una all’altra. Un sogno impossibile s’è fatto realtà, eccoli in 15mila senza bandiere né bastoni impugnando pesci disegnati per mandare di traverso il mojito a Salvini. Parte il contagio, altre scatolette si aprono a Modena sfidando il diluvio, sul nastro di partenza tutte le città emiliano-romagnole; le sardine scavalcheranno gli Appennini per approdare a Firenze, e poi sopra e sotto la linea gotica: Torino, Milano, Genova, Napoli, Sorrento, Palermo, forse Roma. Una speranza, una sostituzione della politica malata, un argine al diluvio. Un muro di solidarietà contro i muri dell’odio.
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