di RedQ
Molta gente pensa che il business più redditizio, almeno tra quelli legali, sia quello delle telecomunicazioni, o eventualmente dell’informatica. Nient’affatto. Tutti i più quotati giornali economici, naturalmente di matrice liberista, da Forbes al Financial Times, sono assolutamente univoci: il business più redditizio è di gran lunga quello dei farmaci.
Date voi stessi un’occhiata ai bilanci annuali anche solo dei nostri grandi monopoli, Novartis e Roche. La cifra d’affari si aggira su per giù attorno ai 50 miliardi, il guadagno sta sempre da qualche parte tra i 12 e i 15 miliardi: cioè minimo 20%, massimo 25%. Sono percentuali che le altre industrie possono solo sognarsi.
Ma come si è arrivati qui, quando ancora solo 50 anni fa i farmaci erano considerati un bene comune, e quindi spesso a buon mercato? Naturalmente il tutto ha a che vedere con la controrivoluzione neoliberista, che a poco a poco ha generalizzato il principio dei brevetti, codificati internazionalmente (anche se già realizzati in molti paesi) nel 1992 e poi ritoccati nel 2001 a Doha. I brevetti (o patenti, che dir si voglia) hanno una durata minima di 20 anni, che spesso può però essere estesa di almeno 5-10 anni, ed in alcuni casi anche di più. Questa situazione garantisce all’industria produttrice per tutto questo periodo il monopolio assoluto, e questo a livello planetario. Ciò significa quindi guadagno assicurato, a rischio zero. È evidente che l’investitore che vuole andare sul sicuro preferirà comperare le azioni della Novartis, piuttosto che quelle della Ford. E difatti, anche nelle peggiori crisi borsistiche, le azioni che quasi mai perdono molto del loro valore sono proprio quelle della farmaceutica.
Questo sviluppo ha quindi reso il successo finanziario delle ditte farmaceutiche completamente dipendente dall’evoluzione borsistica. Siccome quest’ultima è per sua natura legata ai risultati a breve scadenza, ogni ditta farmaceutica, se non vuole correre il rischio di essere magari assorbita da un “offerta ostile”, deve cercare di guadagnare il più possibile ed in tempi brevi.
Questo circolo infernale fa sì quindi che i monopoli farmaceutici (al di là dei molti accordi segreti esistenti per suddividersi il mercato ed evitare di farsi male inutilmente) siano interessati solo a sviluppare quei farmaci, che per una ragione o l’altra potranno essere venduti ad un prezzo molto alto, con un enorme margine di profitto, e non siano per niente interessati a soluzioni “a buon mercato”. E gli esempi, molto spesso citati nelle riviste scientifiche, a questo punto si sprecherebbero.
Il tutto poi è ancora peggiorato dal fatto che il mercato principale è quello statunitense (nel settore oncologico per esempio rappresenta il 60%) dove vige la libertà assoluta per una ditta farmaceutica di fissare il prezzo che vuole. Fino ad una quarantina di anni fa negli USA molti vincoli legali permettevano allo stato di calmierare il prezzo dei farmaci. In seguito, i monopoli farmaceutici, essendo quasi sempre i maggiori sponsors soprattutto dei candidati repubblicani, hanno ottenuto che tutte queste leggi venissero abrogate, ragion per cui oggi possono fare quello che vogliono. Obama aveva promesso di reintrodurre un certo controllo del prezzo dei farmaci: una delle tante promesse che, di fronte allo strapotere di questa lobby, non ha mantenuto. Il prezzo statunitense diventa quindi il prezzo di riferimento con il quale tutti gli altri paesi del mondo devono misurarsi: se un paese, che dal punto di vista del mercato rappresenta un’inezia rispetto agli USA, non è d’accordo con il prezzo richiesto dal monopolio farmaceutico, può dunque vedersi rifiutata la vendita di quel farmaco.
Tutto ciò ha poi portato al fatto che secondo l’OMS più di due miliardi di persone attualmente nel mondo non hanno accesso a uno o più di quei farmaci, che la stessa Organizzazione Mondiale della Sanità ha definito come assolutamente essenziali. La situazione è particolarmente grave nel settore dei farmaci contro il cancro, dove il prezzo medio negli ultimi 25 anni è aumentato all’incirca di 50 volte. Oggi siamo oramai arrivati, in certi casi, a terapie che possono costare - dovendo usare più di un farmaco - sino a 300’000 franchi all’anno per un singolo paziente. Nel settore oncologico il paziente e la sua famiglia vivono in una situazione psicologicamente molto precaria. È quindi relativamente facile, basandosi su risultati preliminari (che spesso poi, qualche anno dopo, non verranno confermati dai risultati definitivi degli studi), suscitare facili speranze e quindi creare, grazie anche ad interventi prezzolati nei media, una forte pressione dell’opinione pubblica, che obbligherà i vari governi ad accettare il nuovo farmaco, qualunque sia il suo costo.
L’esplosione del costo dei farmaci in generale, e di quelli oncologici in particolare, da diverso tempo non è oramai più soltanto un problema per i paesi poveri, ma lo è diventato anche per i paesi ricchi, Svizzera compresa. Da noi le autorità cercano di difendersi come possono, anche perché la maggioranza borghese del Parlamento ha evitato, durante la revisione della legge sui medicamenti, ogni formulazione che potesse essere incisiva.
Da noi un nuovo farmaco viene dapprima accettato (purché i dati scientifici lo permettano e sulla base di quanto hanno fatto gli altri paesi) da Swissmedic che ne permetterà la vendita. Poi però è l’Ufficio federale della sanità a dover decidere se il farmaco entrerà nella lista dei medicamenti che le casse malati devono pagare a chi ha solo la copertura di base. Le trattative con le ditte farmaceutiche, per fissare un prezzo “ragionevole”, durano spesso molto a lungo e ad avere la meglio, anche a suon di decisioni dei vari tribunali, sono di solito i monopoli farmaceutici. Nel frattempo passano spesso diversi anni: chi può permetterselo, o perché se lo paga o perché ha un’assicurazione complementare che copre anche questi farmaci, avrà immediatamente accesso a questo farmaco, mentre gli altri dovranno spesso aspettare, spesso molto a lungo.
Siamo quindi ormai, anche da noi, in piena medicina a due velocità: una per i ricchi, l’altra per i meno abbienti. Come spieghiamo nell'articolo “Costo dei farmaci: il ruolo della Svizzera”, un’arma ci sarebbe per risolvere il problema, quella delle cosiddette “licenze obbligatorie”. Ma non c’è dubbio che il nostro Consiglio federale non avrà mai il coraggio di applicarlo. Lo aveva fatto con successo alcune volte Lula in Brasile: è probabilmente una delle ragioni per cui è finito in carcere.
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