Luigi Romeo, già Coordinatore dei Servizi Sociali Comunali di Locarno
Ho trascorso trentanove anni della mia professione di educatore e assistente sociale a occuparmi di marginalità e povertà. Gli ultimi anni come Coordinatore dei Servizi Sociali Comunali di Locarno. Da poco in pensione.
Settecentomila poveri in Svizzera di cui centomila bambini che nascono, partono, con un handicap sociale importante. Ormai un consolidato anche alle nostre latitudini, dove molte famiglie non riescono a far fronte a una spesa imprevista. Per giorni e anni mi sono confrontato quotidianamente con giovani e meno giovani che chiedevano aiuto per soddisfare i propri bisogni primari o essenziali. Padri che provavano profonda vergogna nel dichiarare di non essere in grado di rispondere alle attese dei figli e della famiglia. Madri che piangevano perché in casa non vi erano sufficienti risorse economiche per una vita dignitosa, per una spesa sanitaria non prevista, magari il dentista per i figli.
Buona parte di loro aveva un lavoro, spesso precario e interinale – altro vero grosso problema - con un salario insufficiente. Magari con qualche franco in più della soglia prevista per accedere all’assistenza. Magari con accesso ai sussidi cassa malati e, se con figli, agli assegni prima infanzia o agli assegni familiari integrativi. Tutti, comunque erano a beneficio di aiuti sociali e tutti dichiaravano di voler vivere dignitosamente del proprio lavoro e del proprio salario. Perché se i sussidi o gli aiuti sociali danno una mano, poi vincolano a una burocrazia e a un controllo sociale massiccio, importante e colpevolizzante. Continue revisioni, richieste di documenti, convocazioni e colloqui, ecc. Soprattutto l’incertezza del/nel futuro.
Purtroppo, stando alle decisioni previste sul futuro salario minimo, vergognoso frutto del compromesso, l’incertezza è prescritta politicamente e socialmente, mettendo una grossa ipoteca negativa sui loro figli e sul loro futuro. Decisione indegna e incivile. Perché è di questo che bisogna parlare oggi nell’opulenta Svizzera e, quindi, anche nel nostro cantone: della Povertà; della fatica di tutti i giorni per arrivare alla fine del mese. Una politica liberista che crede necessario mantenere “dipendenti” le fasce più deboli affinché si possa esercitare un potere subdolo, ricattatorio e colpevolizzante.
Uno Stato che pone la visione aziendalistica (liberista) prima del diritto alla dignità, alla scuola, allo studio, alla salute, a una politica ambientale, a un lavoro con una retribuzione tale da permettere di non ricorrere ai vari aiuti sociali. Quanto risparmierebbe lo Stato se non dovesse più elargire aiuti sociali a chi oggi viene definito workingpoor. Con quei soldi, lo Stato, potrebbe valutare una politica fiscale più equa per i cittadini, e non solo per le aziende, o utilizzarli per sostenere quelle aziende virtuose che s’impegnano a: dare giusti salari, per l’ambiente, per l’innovazione, per la parità di genere, per la formazione, ecc.
Quindi, o i liberisti – e i loro alleati - pensano che il popolo sia stupido e lo menano per il naso da anni, o non hanno capito che in fine si passa alla cassa e i cittadini possono, ne hanno il potere, decidere di cambiare registro. Un popolo, una cultura, una città hanno bisogno che chi si occupa del “bene pubblico” abbia una visione sistemica dei problemi, sia in grado di gestirne la complessità, garantisca benessere e servizi idonei e si dia alla collettività e, quindi, ai cittadini – tutti – indistintamente, al fine di garantirne il soddisfacimento dei bisogni.
Uno Stato necessita di persone che abbiano una visione lungimirante e non dell’hic et nunc e che vada oltre la banalità dell’amministrazione economica – meglio sarebbe dire econometrica.