di Luciana Castellina
Disfatta di Syriza nelle elezioni politiche anticipate dello scorso luglio? E’ quanto si sono affrettati ad annunciare quasi tutti i media appena chiuse le urna. E però si tratta di una “disfatta” che fa gola a tutti i partiti della sinistra europea: ....
... a parte i piccoli che ruotano su cifre minime anche tutte le grandi socialdemocrazie, compresa la storica SPD tedesca e il pur forte Psoe spagnolo, per non parlare del PD italiano e del PSF, tutti ben al di sotto del 31,6 per cento guadagnato da Syriza.
“Abbiamo perso il governo” - aveva detto in quell’occasione Tsipras nella sua prima dichiarazione a caldo, tralasciando ogni recriminazione per le durissime condizioni in cui si era trovato a governare - e però siamo oggi la forza di sinistra più grande d’Europa, solo 10 anni fa avevamo il 4,6 % dei voti. Adesso dobbiamo impegnarci a costruire un partito all’altezza del voto che abbiamo ottenuto.”
Una giusta scelta, perchè se il primo governo di comunisti nella storia della Grecia ha dovuto cedere dopo 4 anni è anche per la fragilità del partito che l’ha sorretto, Syriza, che già aveva visto nelle elezioni del 2015 il distacco polemico della sua componente trozkista che - disperdendo i voti della lista frettolosamente presentata - aveva privato Tsipras della maggioranza, costringendolo ad una alleanza scabrosa col piccolo partito nazionalista Aned. Per non parlare della clamorosa rottura di Varoufakis. Scissioni non ricomposte in quest’ultima competizione, anzi più infauste, visto che anche Varoufakis ha presentato questa volta una sua lista - Diem 25 - che ha strappato il 3,4%, voti che, sommati a quelli dispersi da parecchie altre formazioni prima federate a Syriza, avrebbero potuto bloccare il ritorno della destra. L’incredibile legge elettorale greca regala infatti ben 50 deputati ( su 300) non a chi abbia superato una certa soglia, ma risulti semplicemente il partito più votato. (Non parliamo del KKE, l’ostinato partito comunista un tempo chiamato “dell’esterno”, perché erede dell’ala legata a Mosca che la maggioranza dei comunisti greci aveva lasciato fin dall’epoca del colpo di stato per proclamare il diritto ad una direzione collocata in Grecia, e per questo detto “dell’interno”. Da anni il KKE continua le sue battaglie, seguito da un nucleo fedele di vecchi compagni, isolatissimo, tanto da aver polemicamente abbandonato, nel centenario dell’ottobre, a Mosca, anche la conferenza dei circa 100 partiti comunisti esistenti nel mondo, promossa dal PC russo di Zuganof, clamorosamente allontanandosi assieme al PC italiano di Marco Rizzo, che ne condivide l’ispirazione: un altro strappo in odio a una sinistra giudicata troppo “a destra”. Anche quest’ultima volta il KKE ha ottenuto il 5,3%, un ragguardevole gruppetto di deputati che considerano Syriza il nemico principale.
Che il governo di Tsipras non sarebbe riuscito a ottenere un altro mandato era comunque un evento dolorosamente atteso. Ma è importante sottolineare che il voto ha avuto una forte connotazione di classe: Syriza ha conquistato moltissimi voti nelle zone proletarie, ha perduto in quelle di ceto medio, uno strato sociale assai esteso in Grecia che vive sopratutto di turismo.
E’ naturale che così sia stato: Tsipras si è infatti sforzato in questi quattro anni di applicare le durissime misure imposte da Bruxelles in modo da colpire il meno possibile gli strati più poveri della popolazione. E appena si è avviata una ripresa economica i primi atti del suo governo sono stati il ripristino della scala mobile, l’aumento del salario minimo e delle pensioni, la reintroduzione della contrattazione collettiva. Tutte misure che non sono piaciute ai ceti medi, a loro volta impoveriti ma come sempre in questi casi attratti da una protesta di destra. Cui Mitsotakis, ha prontamente risposto invocando meno tasse e il più estremo liberismo. Nuova Democrazia si è infatti spostata oggi molto più a destra di quanto il partito sia stato tradizionalmente perchè ha vinto inglobando larghissima parte persino dei voti dell’ala fascista di Alba Dorata, che ora deve ricompensare. L’effetto più simbolico della nuova linea è stata l’invasione e l’inizio dello smantellamento da parte di una polizia in stato di guerra dello storico quartiere “anarchico” di Exarchia, una sorta di grande “centro sociale” dove sono stati fra l’altro accolti un gran numero di rifugiati.
Il paradosso dell’attuale situazione è che il governo di destra sta godendo i frutti di una situazione economica che quattro anni fa era alla bancarotta e che oggi, pur fra mille difficoltà, il governo di sinistra ha portato a una significativa ripresa: per la prima volta dal 2009 la Grecia ha un bilancio espansivo che non impone misure di austerità, è cresciuta dell’1,9 % nel ’18 e dovrebbe arrivare al 2,4% nel ’19.
E’ stata giusta la scelta di Tzipras di non andare alla rottura con l’Unione Europea, ma di combattere sul suo terreno pur in condizioni pessime, visti gli impossibili rapporti di forza, isolato come è rimasto rispetto alle forze socialiste europee che avrebbero avuto e potuto sostenere, nel loro stessa interesse, le richieste di cambiamento della draconiana linea di Bruxelles ?
La polemica in proposito - ma più in Europa che in Grecia - è ancora viva. Chi la alimenta non ha tuttavia ancora spiegato cosa sarebbe avvenuto ove il paese fosse uscito dall’eurozona (e quindi fatalmente anche dall’UE), ritrovandosi padrona di una sua moneta con la quale non sarebbe tuttavia stata in grado neppure più di acquistare il combustibile per consentire alle navi di collegarsi con le mille isole di cui è fatta la Grecia. I famosi piani B sono rimasti invocazione. Se il Paese fosse stato autosufficiente, in grado di tagliare i propri rapporti col mondo (e i suoi beni di consumo) avrebbe forse potuto sopravvivere, ma così sarebbe affogata nel Mediterrano. Ammesso fosse giusto ci sarebbe voluta una così profonda trasformazione di modi di vita, un’operazione così radicale che solo una forza leninista e una popolazione pronta ad affrontare un processo di mutamento rivoluzionario avrebbero potuto tentare. Piaccia o non piaccia in Grecia non c’è. Non solo: un Paese che per così a lungo ha subito il potere fascista resta fragile ed esposto a brutte avventure.
Ogni avventurismo rischia di esser pagato molto caro. “ L’uscita, per qualsiasi Paese la tenti - mi ha detto tempo fa Euclides Tsacalotos, ministro delle finanze del governo Tsipras - avvierebbe un processo di disgregazione che avverrebbe sotto l’egemonia della destra sovranista, non della sinistra. Non c’è un’“uscita” di classe, insomma, ma solo nazionalista.
Nessun problema sociale - a partire dalla diseguaglianza crescente - troverebbe soluzione. I problemi ormai sono sovranazionali ma lo sono anche le soluzioni. Per affrontare davvero questi problemi occorre imboccare un’altra strada, si deve puntare a una trasformazione sociale dell’eurozona. A partire dalla gestione dei bilanci che dovrebbero ubbidire a criteri che oggi non esistono. Delors aveva già suggerito (ai tempi del Trattato di Maastricht) di tener conto del livello di disoccupazione, ma la sua proposta cadde nel vuoto. Oggi io credo che sarebbe meglio indicare criteri che impongano di tener conto delle conseguenze sociali di ogni misura assunta. Il vero problema delle istituzioni europee è stato proprio di non aver capito il carattere della crisi scoppiata nel 2008. Credevano che sarebbe stata breve, non si sono resi conto di quale disuguaglianza - economica e sociale - avrebbe generato. Solo in questi ultimi due anni l’Eurogruppo ha cominciato a capire. Anche per via della presenza di rappresentanti di governi diversi, quelli che hanno, o stanno cercando, di imboccare un’altra linea politica: quelli socialisti portoghese e spagnolo, alleati con la sinistra, non piegati verso il centro, o, peggio, verso la destra. Prima del Natale scorso, per esempio, si è riusciti a fare nell’Eurogruppo una riflessione sul perché i salari non sono cresciuti in rapporto all’aumento della produttività, una discussione inimmaginabile fino a qualche tempo fa. Si vede che qualcosa imparano.”
Credo che Tsacalotos avesse ragione. Purtroppo di governi impegnati a cambiare l’UE oggi ce ne è uno di meno, quello Tsipras della Grecia. Resiste il Portogallo, e, speriamo, la Spagna. Non ci resta che produrne altri. Del resto - la storia dell’Italia degli anni ‘60/70 insegna - si può conquistare molto anche dall’opposizione. Naturalmente se si lotta.
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