di Loris Campetti
Ci voleva un menù natalizio a base di pesce azzurro per rianimare un paese allo stremo con un’iniezione di vitamine, Omega3 e sali minerali per combattere il colesterolo cattivo e prevenire le malattie cardiovascolari.
È la sardina la parola dell’anno in un’Italia sempre più umiliata dalle forme postnovecentesche della politica “falsa e bugiarda”, gridata, insultante, minacciosa con i deboli e serva con i forti. Una politica informata all’homo homini lupus, disinteressata al bene comune così come al benessere del pianeta, egoista, antisolidale. Non è più quel che resta della sinistra conosciuta a offrire un’alternativa all’insieme dei diktat e dei luoghi comuni della finzione neoliberista che giura di voler combattere la globalizzazione con l’odio nazionalistico e sovranista, che invece non è che uno degli effetti collaterali del nuovo ordine economico. Semplicemente, la sinistra non c’è, si è dissolta nell’aria, bruciata per autocombustione.
Nell’immaginario collettivo e tra i 6,5 milioni di italiane e italiani che si dedicano al volontariato è in un altrove ignoto che bisogna ricercare i valori della socialità e della solidarietà; quella dei pescatori che rinunciano a riempire di gamberi le loro reti per tirare su dal mare migranti salvati e sommersi; quella degli operai che riscattano e autogestiscono la loro fabbrica fatta fallire dall’ingordigia di padroni e manager finanziarizzati; è l’Italia antimachista di “Non una di meno”, l’Italia che bacia i fiori della natura e non li coglie come cantava Pierangelo Bertoli.
L’Italia delle sardine, appunto: l’unica fragile, neonata alternativa all’odio salviniano, al razzismo, all’individualismo proprietario. La sardina nasce a Bologna da quattro ragazzi stanchi di leggere la realtà solo attraverso lo schermo del computer e terrorizzati dall’idea che la loro regione finisca nelle mani dei seminatori di odio, favoriti dall’evanescenza della sinistra e dal processo di delega, sfiducia e rancore che alle ultime elezioni regionali aveva svuotato le urne lasciando a casa i due terzi degli emiliano-romagnoli. Riprendiamoci la città e la regione, restituiamo alla politica e ai cittadini un po’ di dignità e umanità, usciamo dai nostri gusci, reinventiamo la partecipazione e usiamola come arma gentile, senza grida e ululati perché fascismo, razzismo e sovranismo non si combattono scimmiottandone i modi, copiandone la comunicazione e, in fin dei conti, condividendone il modello sociale.
Costituzione alla mano, hanno fatto il colpo grosso riempiendo in pochissimi giorni piazza Maggiore, la piazza grande cantata dal bolognese Lucio Dalla. La suggestione delle sardine nasce proprio da Dalla, “Come è profondo il mare”. Ai giovanissimi si sono affiancate altre due o tre generazioni, orfani della sinistra e del modello di un’Emilia già rossa difeso a stento e senza passione dagli eredi spreconi di quella sinistra che non è mai stata radicale, moderata sì ma esperta e solidale, con le mani pulite e la cultura del fare. Indigeni e migranti, uomini e donne, studenti, lavoratori e precari vittime della globalizzazione neoliberista, figli della rete che dalla rete vogliono uscire come sardine che si sentono strette dentro la scatola di latta.
Adesso che tutto si è sporcato tocca a noi, dicono Mattia Santori e i suoi tre amici e amiche bolognesi, raccogliere le bandiere, abbandonate lungo il cammino, della cittadinanza, del welfare, della fratellanza. Ogni città e borgo prima dell’Emilia-Romagna poi di Torino, Milano, Cagliari, Napoli, Palermo, Firenze, Genova, Bari si sono riempite di sardine, cittadine e cittadini fuori dai partiti ma tutt’altro che antipolitici, sardine fautrici di una nuova politica. Ingenue, certo, ancora senza una linea predefinita, sono sbarcate a Roma riconquistando in più di centomila la piazza grande della capitale, San Giovanni, umiliata dall’invasione leghista e fascista. Si definiscono antifascisti e cantano Bella ciao, ciononostante guardati con diffidenza e sufficienza dai nostalgici dell’ideologia novecentesca dove tutto si teneva, quadro internazionale, fase politica e nostri compiti: questi non hanno una linea, non sanno cosa vogliono, non sono come noi del ’68, o del ’77, come noi dei servizi d’ordine. Questi dicono di raccogliere bandiere lasciate cadere ma al tempo stesso non vogliono farci portare le nostre bandiere rosse nelle loro piazze. Con la gentilezza e i toni bassi, la buona politica e le mani pulite non si va da nessuna parte?
Ma è proprio grazie a queste sardine ingenue se si è riaperta una partita che sembrava già persa: non è detto che riusciranno a salvare l’Emilia da Salvini, ma oggi c’è una possibilità. Hanno persino compiuto il miracolo di rianimare un pezzo di Pd che senza la spinta ittica mai avrebbe rimesso piede a piazza Maggiore, riempiendola dopo tanti anni di assenza. L’altro miracolo delle sardine è aver costretto Salvini a cambiare linguaggio, abbassare un po’ i toni, lasciare molte piazze per rinchiudersi nei teatri e nelle salette, vedendo in loro il nemico principale.
Stampa, media e organizzazioni di destra cercano di metterle al muro, inventando infiltrazioni estremiste, esaltando ingenuità e contraddizioni tipiche dei movimenti neonati. Le sardine sono prepolitiche? Ma non è forse politica pretendere, come stanno facendo dopo appena poche settimane di vita, la cancellazione o almeno la modifica radicale delle criminali leggi sulla sicurezza imposte dal governo Conte 1, quello gialloverde, leggi che alzano muri contro i migranti e contro il conflitto sociale? Non sono e non vogliono essere un partito, ma ai partiti democratici presentano embrioni di progetti solidali e accoglienti, in fondo hanno una visione che è ciò che alle sinistre e soprattutto al centrosinistra oggi mancano. Adesso tocca alla politica contaminarsi, cambiare rotta. Se ciò non avverrà, e se anche il miracoloso movimento neonato dovesse rifluire per l’inquinamento del mare in cui nuota, non è alle sardine che dovremo dare la colpa.
Il primo appuntamento, fissato dopo l’exploit romano in cui i delegati di tutte le piazze hanno elaborato il decalogo della buona politica, è la mobilitazione per salvare dal maremoto salviniano le prime due regioni in cui si voterà a fine gennaio: Emilia-Romagna e Calabria.
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