di Claudio Carrer - area
Oltre a dover affrontare l’emergenza sanitaria causata da una diffusione rapida, estesa e grave del coronavirus e a piangere il più alto numero di morti di tutto il paese, il cantone Ticino deve da giorni sprecare energie per difendersi da inqualificabili attacchi provenienti da Oltralpe e per giustificare le misure restrittive adottate allo scopo di frenare la crescita dei contagi e dei decessi.
La decisione del Consiglio di Stato, caldeggiata da medici ed epidemiologi e sostenuta da datori di lavoro e sindacati, di chiudere tutti i cantieri e tutte le attività produttive non essenziali ha mandato su tutte le furie i vertici nazionali delle organizzazioni padronali. Evidentemente più interessati a riaffermare il primato dell’economia su tutto, costi quello che costi, anche per la salute dei lavoratori e della popolazione tutta.
Non lo speriamo ma temiamo che nelle prossime settimane anche altre regioni della Svizzera saranno confrontate con una situazione di emergenza come quella che vive il Ticino. Sarebbe dunque saggio estendere da subito a tutto il paese il blocco delle attività non essenziali. Perché nelle fabbriche e sui cantieri è oggettivamente impossibile rispettare le norme d’igiene e di distanza sociale. Sono queste le misure che oggi s’impongono e che rallentano la progressione della malattia: ce lo dicono gli esperti e le esperienze della Cina e dell’Italia.
Lo sa anche il Consiglio federale, che però insiste sulla sua linea filo-padronale: «Bisogna continuare a lavorare. Non si deve rompere la catena produttiva. C’è bisogno di fiducia, pazienza e solidarietà», ha detto il ministro dell’economia Guy Parmelin. Anche in Svizzera insomma si tergiversa e non s’impara dalle esperienze altrui.
Dopo le polemiche degli scorsi giorni sulla legalità delle misure ticinesi, il Consiglio federale avrebbe perlomeno dovuto rispondere agli appelli formulati dalle autorità e da decine di medici e specialisti (che ben sanno quale è la situazione). Invece no. Per ora, Berna si limita a dire di aver «preso atto» delle decisioni del Ticino che «vanno al di là di quanto stabilisce l’ordinanza» federale e di «lavorare a una soluzione». L’unica soluzione intelligente sarebbe quella di imitare il Ticino, ma i tempi non sembrano maturi. E allora che si conferisca perlomeno margine di manovra ai Cantoni. Come è nella logica dello “stato di necessità” in cui ci troviamo. Chi non avesse ancora capito, venga a farsi un giro in un ospedale ticinese! Non c’è tempo da perdere.
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