Oggi c’è più bisogno che mai del Primo Maggio

di Enrico Borelli

 

Non ho praticamente ricordi di un Primo Maggio trascorso lontano dalle piazze, che in questo giorno di festa diventano da 130 anni luoghi simbolo della lotta internazionale di tutte le lavoratrici e di tutti i lavoratori. Quest’anno, lo sappiamo, sono desolatamente vuote.

Mi corrono per la mente le immagini di un anno fa. Immagini di migliaia di persone di ogni età, cultura e provenienza che in tutta la Svizzera e in Ticino in particolare hanno sentito il bisogno di mobilitarsi in massa, già il 1° maggio, per affermare con forza i diritti delle donne, per lanciare un primo segnale in vista del grandioso sciopero femminista poi andato in scena il 14 giugno. Si percepiva appieno di vivere un momento di lotta senza barriere culturali, sociali e generazionali, che è l’essenza di questa giornata internazionale del movimento operaio. Una giornata che in Svizzera si celebra ininterrottamente dal 1890: durante i due conflitti mondiali le manifestazioni toccarono livelli minimi, ma si tennero. Il Coronavirus colpisce più duro della guerra.

 

La situazione provoca tristezza, nostalgia, smarrimento. Ma sarebbe sbagliato cedere a questi sentimenti, perché del Primo Maggio c’è quest’anno più bisogno che mai, con gli sconquassi che la pandemia sta provocando nel mondo del lavoro e nella vita delle famiglie e con le minacce alla sicurezza sanitaria, sociale ed economica dei lavoratori che in varie forme giungono dagli ambienti padronali in queste settimane.

 

Seppur lontano dalle piazze, con forme virtuali o con interventi scritti come quello che state leggendo, anche in questo (per ora) sfortunato 2020 è giusto cercare di far vivere lo spirito del Primo Maggio diffondendo le ragioni delle lavoratrici e dei lavoratori, che oggi non possono incontrarsi per lottare uniti. Mi auguro che le loro voci giungano in qualche modo nelle case delle famiglie dei ticinesi.

 

«Il Primo Maggio è come parola magica che corre di bocca in bocca, che rallegra gli animi di tutti i lavoratori del mondo, è parola d’ordine che si scambia fra quanti si interessano al proprio miglioramento», scriveva nel 1890 la storica rivista anarchica italiana La Rivendicazione, che fu tra gli attori della campagna per l’istituzione in Europa della Festa del lavoro il 1° maggio. Oggi come allora, e a maggior ragione nella situazione che viviamo, è più che mai necessario unire le forze, ravvivare la solidarietà, combattere gli egoismi e lo sfruttamento.

 

In questo momento che ci vede in una sorta di tunnel in fondo al quale si comincia a vedere solo un po’ di luce il mio pensiero va naturalmente a tutta la popolazione che sarà costretta a trascorrere un ennesimo giorno di festa “imprigionata” dalle misure di contenimento. Ma in modo molto particolare ci tengo a lanciare da qui un abbraccio virtuale a tutte quelle lavoratrici e a tutti quei lavoratori che nelle ultime settimane di semi-quarantena si sono sacrificati, mettendo anche a repentaglio la loro salute, curando e assistendo i malati, servendoci al supermercato, portandoci la pizza a domicilio, assicurandoci la consegna di pacchi e giornali e garantendoci tantissimi altri servizi e beni (più o meno) essenziali. Senza dimenticare gli altri che in queste settimane stanno tornando al lavoro “normale” in una situazione che normale non è e con un clima, purtroppo, ancora dominato da tante incertezze e legittime paure. Ci sono infine, ma non da ultimo, quelli che non ci possono tornare del tutto al lavoro, perché per colpa (o con la scusa) del Coronavirus sono stati licenziati.

 

A tutte e tutti loro è giusto rendere onore. E il Primo Maggio è la giusta occasione.