di Franco Cavalli
Dopo la Sars (2003) e altre epidemie simili era apparso chiaro agli scienziati che ci si doveva in futuro aspettare una pandemia, probabilmente da coronavirus. Fondamentale sarebbe stato sviluppare un vaccino polivalente per questi virus, tale da rendere perlomeno meno pericolosa una simile pandemia.
Si fecero studi preparatori, ma ci sarebbero voluti all’incirca 300 milioni di dollari per condurre a termine il progetto. L’industria farmaceutica, interessata esclusivamente a farmaci con un margine di profitto molto più alto di quello dei vaccini, declinò. I governi, ormai in preda alla follia meno statista del neoliberismo, fecero altrettanto. Anzi, si tralasciarono i piani di pandemia e le scorte necessarie (mascherine, disinfettanti) e, trasformando gli ospedali in aziende, si ridussero drasticamente i letti, soprattutto quelli di cure intensive.
Tutto ciò è capitato pure in Svizzera, anche se forse in maniera minore. Non dimentichiamo però che una quindicina di anni fa l’istituto svizzero dei vaccini, uno dei migliori al mondo, fu dapprima privatizzato e poi venduto ad un monopolio farmaceutico. E ancora poco prima che scoppiasse la pandemia, i grandi capi delle nostre casse malati reclamavano la chiusura «di una parte importante degli ospedali». Ecco perché la pandemia ha colto del tutto impreparato il mondo occidentale, contrariamente a quanto è capitato ai paesi dell’Estremo Oriente, dove il noi collettivo è sempre ancora più importante dell’io individualista, anche se ora Trump, per bassa demagogia elettorale e per nascondere le sue tremende responsabilità, dà tutta la colpa alla Cina. Ma Lancet, la più importante rivista medica mondiale, dopo aver presentato un’ampia documentazione, ha sentenziato che con le sue misure il governo cinese ha salvato decine, forse centinaia di migliaia di vite, anche se ci fu una certa confusione iniziale, ma essendo confrontati con una patologia completamente nuova, ciò è comprensibile.
E da noi? Se globalmente si può essere abbastanza soddisfatti di come il Consiglio di Stato ticinese ci abbia guidati attraverso la crisi, parecchie cose sono però andate non molto bene, a cominciare dal non aver proibito il carnevale Rabadan fino alla situazione in diverse case per anziani. Fabio Dozio, nella Regione del 23 aprile (leggi), ha riassunto molto bene tutto quanto avrebbe potuto e forse anche dovuto andare meglio. E se da noi Fulvio Pelli afferma (CdT 28.4.2020), che si è «chiuso troppo» e che «riapriremo troppo lentamente», a nord delle Alpi i grandi padroni del vapore hanno pesantemente condizionato il comportamento del Consiglio federale. Così molte migliaia di lavoratori, non impiegati in attività essenziali, sono stati brutalmente esposti a gravi rischi in quanto la stragrande maggioranza delle fabbriche e tutti i cantieri non sono mai stati chiusi. Ma anche nella distribuzione dei 60 miliardi, con i quali il governo vuole combattere la crisi economica, a farla da padrone sono le banche e i grandi gruppi economici, mentre i piccoli indipendenti devono accontentarsi delle briciole e gli inquilini sono abbandonati al loro destino.
Cent’anni fa, durante l’influenza spagnola, il capitalismo svizzero sacrificò la vita di migliaia di lavoratori obbligati a lavorare nelle fabbriche e di 2-3.000 giovani soldati mobilitati contro i lavoratori impegnati nello sciopero generale. Chi andava farneticando che il capitalismo nostrano era ormai diventato più umano, è quindi servito di barba e capelli. Basterebbe leggere le esternazioni oscene dell’imprenditore egiziano multimiliardario Sawiris o le proposte dell’Usam (meno diritti, estensione orari di lavoro) per rendersene conto.
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