di Ivan Miozzari
Il divieto che permane per gli acquisti in Italia si basa su motivazioni di ordine economico. Le motivazioni del divieto nell’ordinanza federale, ci dicono, sono da ricondurre alle possibilità ridotte per le guardie di confine di esercitare i normali controlli poiché le risorse umane sono impegnate prevalentemente nel verificare chi abbia diritto o meno di entrare in Svizzera.
Aumentare gli effettivi dell’Amministrazione federale delle dogane sul confine con l’Italia ha un costo. Non sappiamo di quale portata ma certamente non indifferente. Ma a fronte dei miliardi spesi per sostenere l’economia privata fa strano che per questo ambito - in questo momento particolarmente sensibile - non ci siano le risorse.
Se le motivazioni fossero piuttosto di carattere sanitario, ci dovrebbero spiegare perché da noi sia possibile radunarsi fino a 30 persone, tornare a teatro e in discoteca e così via con tutti gli allentamenti e sia invece più pericoloso entrare in un supermercato italiano dove tuttora vigono regole severissime. Obbligo di mascherina e di guanti, limite del numero di clienti che sono contemporaneamente all’interno, distanze obbligatorie, plexiglas che separano i cassieri e le cassiere dal cliente. Un livello di prevenzione da sala operatoria in pratica. Contatti pari o vicini allo zero.
Se i veri motivi fossero misure di protezione del mercato interno, allo scopo di sostenere e rilanciare l’economia ticinese, dovrebbero dircelo. Potremmo anche capirle. Ma in questo caso occorrerebbe sostenere il potere di acquisto dei nostri molti concittadini che a fare la spesa alimentare con i prezzi svizzeri non ce la fanno. È facile liquidare la questione, come fanno i media locali e molti nostri politici, con appellativi come “furbetti” e “turisti della spesa” e fingere così che spesso dietro a queste abitudini non ci siano delle necessità quando non delle vere emergenze.
È assurdo poi punire chi ci prova nonostante il divieto. Con tanti begli appelli alla responsabilità individuale. E la responsabilità dello Stato nei confronti dei suoi cittadini più fragili è forse merce scaduta? Se davvero volessimo sostenere l’economia locale, in questo momento di crisi, dovremmo fare il possibile perché tutti possano accedere ai beni, in particolare a quelli di prima necessità. Per fare ciò ci sono molti strumenti. Tra questi per esempio un reddito d’emergenza.
Un sostegno diretto a quelle economie familiari già in crisi in tempi pre-covid, a quelle che pagano il conto della crisi economica causata dalle pur necessarie chiusure, restrizioni e proibizioni di attività - che sono state gli strumenti per far fronte alla pandemia - a tutti quei lavoratori e le lavoratrici che hanno avuto il salario ridotto e a quelli che stanno perdendo il posto di lavoro. Sarebbe la strategia più efficace. Il calo del potere di acquisto causa un calo delle vendite di beni e servizi che a sua volta genera un ulteriore calo dei redditi e quindi dei consumi, e non se ne esce più se non con un disastro totale.
E penso si possa essere abbastanza certi che le famiglie che potessero beneficiare di aiuti economici non li userebbero per fare dividendi o speculazioni finanziarie.