di Franco Cavalli
Anche se non lo dicono mai a voce alta, perché sanno che è un’opinione molto impopolare, gli ideologi neoliberali considerano la salute una merce alla stessa stregua per esempio delle automobili o delle scarpe.
E come ogni merce, la salute deve quindi essere retta dal sacro principio della concorrenza: è seguendo questa ideologia che Udc e partiti borghesi negli ultimi 20 anni hanno annientato gran parte degli aspetti di solidarietà sociali presenti inizialmente nella LAMal. È stato seguendo questi principi che il Consiglio federale ha ceduto ai privati (che poi l’hanno chiuso) l’Istituto svizzero dei vaccini, famoso in tutto il mondo per la qualità dei suoi prodotti. Per non parlare della svendita di tonnellate di mascherine o di medicamenti essenziali, di cui eravamo poi sguarniti quando un anno fa arrivò la pandemia.
Ma ancora peggio ha fatto il nostro governo nazionale, quando nell’ottobre scorso è scoppiata con estrema violenza la seconda ondata: piegandosi totalmente agli ordini dei padroni, il Consiglio federale ha in pratica seguito quel che aveva fatto inizialmente (con i risultati che oggi conosciamo!) il governo britannico, che seguendo un libro bianco preparato una decina di anni prima da ideologi neoliberali si era attenuto alla massima “chiudere il minimo possibile, per ripartire al più presto avendo così un vantaggio di concorrenza sugli altri”. Da qui la tragicommedia del gioco a scaricabarile tra Berna e i Cantoni, semplicemente perché ognuno voleva che fossero gli altri a pagare. Ancora a fine novembre Alain Berset non si vergognava di dedicare quasi un’intera conferenza stampa a discutere se l’occupazione nelle funivie andava diminuita del 25 o del 50%, perché naturalmente come unici in Europa dovevamo tenere aperti gli impianti sciistici.
C’è poi voluto il terrore della variante inglese affinché finalmente il 13 gennaio, ma con ben 3 mesi di colpevole ritardo, il Consiglio federale cominciasse a prendere alcune delle misure strettamente necessarie. Ma nel frattempo siamo stati purtroppo uno dei paesi al mondo con la più alta letalità da Covid. C’è chi mormora che Sommaruga e Berset siano stati sistematicamente messi in minoranza. Può darsi. Ma la collegialità e quindi il far silenzio vale anche di fronte a questioni di vita e di morte?
Forse ancora peggio, se possibile, ha fatto durante la seconda ondata il Consiglio di Stato ticinese, che si era invece guadagnato molti consensi con il suo atteggiamento proattivo in primavera. Si sussurra che anche a Bellinzona le “non decisioni” siano sempre state prese a tre contro due. Fatto sta che in Ticino i decessi sono ormai quasi 1.000, ciò che rappresenta grosso modo il doppio della media nazionale, il triplo di Lombardia e Piemonte (e degli Stati Uniti), e il quadruplo rispetto alla Germania! E addirittura almeno 100 volte di più che a Cuba, dove la salute e la vita non sono una merce e non hanno quindi un prezzo.
Quanti morti ci è costato il non volere chiudere bar e ristoranti sin da metà ottobre, seguendo le confabulazioni di Regazzi, secondo il quale non c’erano indizi per pensare che fossero degli hot spot? Questa misura avrebbe salvato un centinaio di vite umane o ancora di più? Purtroppo non lo sapremo mai. Fatto sta che la mortalità in Ticino nel 2020 è aumentata di quasi il 30% rispetto alla media annua dell’ultimo decennio e questa differenza è totalmente dovuta al Covid-19. Un’ecatombe simile non la si era più vista dagli anni della Spagnola, cent’anni fa.
Passata la tempesta si dovrà pur discutere di possibili o probabili responsabilità. È il minimo che potremo fare, fosse solo per rispetto delle tante vittime.
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