di Roberto Antonini
Johan Cosar non ha mai letto la tragedia di Sofocle. Quando gliene accenniamo ascolta con curiosità. È intrigato perché in Antigone, scritta 2'500 anni fa, il drammaturgo greco aveva già illustrato il dilemma che la storia ci consegna regolarmente e che è stato al centro del processo al Tribunale militare d’appello in cui il 39enne locarnese è stato condannato giovedì scorso.
Si è arruolato nelle milizie siriache cristiane (Smc) che lottano contro l’Isis nel nord est della Siria.
In quanto cittadino svizzero, senza l’autorizzazione del Consiglio Federale, non aveva il diritto di farlo. Ma è lecito violare la legge dello Stato in nome di valori etici più alti e universali?
Antigone, come Johan Cosar, risponde di sì. Viene condannata dal re di Tebe Creonte a languire in una grotta, perché contrariamente agli ordini di quest’ultimo aveva voluto dare sepoltura al fratello Policine. Di fronte al sovrano, Antigone non si schermisce: “Confermo di averlo fatto e non lo nego”. E poi aggiunge “per me non fu Zeus a proclamare quel divieto e neppure Dike (la Dea della giustizia, ndr)”. Come dire che la giustizia divina non può essere subordinata a quella degli uomini. Ritorniamo da noi: certo il colonnello della Santa non è Creonte, Locarno non è Tebe, e la pena inflitta a Cosar è ben poca cosa rispetto a quella subita dalla celebre figlia di Edipo.
Ma quello della disobbedienza civile è un tema universale che da sempre interroga il rapporto tra diritto ed etica. Lo scrittore americano Henry David Thoreau, autore del saggio “La disobbedienza civile” viene incarcerato nel 1848 perché si rifiuta di pagare la tassa per finanziare la guerra con il Messico. Più vicino alla nostra realtà, al nostro controverso passato, come non ricordare il “giusto tra le nazioni”, il capitano della polizia di San Gallo Paul Grüninger, l’eroe svizzero che ha disobbedito alla legge falsificando documenti d'identità per salvare gli ebrei. Alla lettura della sentenza nel 1940, l’ufficiale, ora riabilitato con tanto di strade a lui intitolate, disse: “Non mi vergogno per il verdetto della Corte. Al contrario sono orgoglioso di aver salvato la vita di centinaia di persone”.
Johan Cosar ha combattuto con la sua milizia cristiana assiro-siriaca a fianco dei curdi nella coalizione delle “Forze Democratiche Siriane (Sdf) che hanno piegato i tagliagole dell’Isis, il male assoluto. È grazie al loro intervento e soprattutto al loro coraggio, che il Califfato di Abu Bakr al-Baghdadi ha avuto vita breve in Siria e in Iraq a est dell’Eufrate. Se Cosar ha violato la legge lo ha fatto per proteggere la vita della sua gente e i villaggi minacciati dai fanatici islamisti. Che pure per la Svizzera costituiscono una minaccia. Appare dunque singolare l’affermazione secondo la quale Cosar “avrebbe affievolito la forza difensiva del paese”. Una decina di anni fa – ha ricordato la sua avvocata Luisa Polli- sono stati riabilitati i combattenti elvetici che negli anni ’30 andarono a difendere la Spagna dall’aggressione del “Generalisimo” Francisco Franco e dei falangisti.
La legge degli uomini lo ha dunque condannato, ma Johan Cosar ha avuto ragione a seguire anche lui Dike, l’altra giustizia, quella dettata dalla morale. La sua battaglia merita riconoscenza e rispetto.
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