di Renato Magginetti
Le parole sono tutte molto belle e, con queste, abbiamo imparato a giocare per costruire narrazioni fantastiche, più spesso solo fantasiose. Personalmente preferisco leggere disegni, piani catastali, progetti architettonici. Però le parole hanno un significato e dobbiamo andare alla loro radice.
Una, importante, è «città». Per riprendere la definizione del Treccani, «dal latino civĭtas –atis, ‘condizione di civis’ e ‘insieme di cives’, ‘aggregato di abitazioni’. Centro abitato di notevole estensione, con edifici disposti più o meno regolarmente, in modo da formare vie di comoda transitabilità, selciate o lastricate o asfaltate, fornite di servizi pubblici e di quanto altro sia necessario per offrire condizioni favorevoli alla vita sociale. Nell’uso, la parola è spesso contrapposta alla campagna. [È una questione di urbanistica e di civiltà, mi permetto di aggiungere.] Il concetto di città è legato a quello di una molteplicità di funzioni di varia origine e indole, economiche, sociali, culturali, religiose, amministrative, sanitarie, ecc., riunite in un solo luogo e per tale ragione non è condizionato dal numero degli abitanti [la sottolineatura è mia]».
In Ticino, questa parola genera grosse ambiguità ed è fonte di un grossolano errore: Città Ticino, la Grande Lugano, la Nuova Bellinzona, la città di Mendrisio. Di fatto, in Ticino, non c’è (ancora) «Città». Ci sono borghi – Biasca, Bellinzona, Locarno, Lugano, Mendrisio – e tanti villaggi, sciolti in quel mare di periferia che io definisco «cancerogena», non tanto perché procura malattia ma perché si sviluppa come un cancro, che sta fagocitando tutto (al riguardo, vi rimando all’articolo «Ecologia, risorse, energia, territorio» pubblicato sul Quaderno 31).
La Nuova Bellinzona è un’aggregazione di 13 Comuni, un borgo e 12 villaggi. Solo una piccola parte di Bellinzona ha il potenziale per diventare Città: Giubiasco può diventare un borgo forte, gli altri sono villaggi che devono insistere sulle loro peculiarità, come ha fatto Monte Carasso negli ultimi 40 anni. Si dovrebbe costruire Città attorno al grande «Parco Centrale Attrezzato» di Bellinzona, l’area che va dal viale Henri Guisan fino al fiume Ticino. Parco attrezzato da innumerevoli impianti e edifici pubblici di grande valore architettonico: le Scuole Nord, la Banca Stato, la Scuola dell’Infanzia, lo Stadio Comunale, lo Stallone, la Scuola Media 1, il Bagno Pubblico, il Centro tennis, la Piscina coperta e lo Stadio del Ghiaccio, il Centro Gioventù e Sport, l’Istituto Cantonale di Economia e Commercio (ex Nuova Caserma), l’Archivio e Biblioteca Cantonale, il «Centro sistemi informativi». Si dovrebbe costruire Città tra il Dragonato e il Parco, a ovest, e, a est, dal viale G. Motta fino al viale Varrone, dove c’è la chiesa e il convento del Sacro Cuore (prima fase) e fino al viale Vallone (seconda fase) dove, da sempre, i Palazzi progettati dall’architetto Bianconi definiscono la Città. (Ricordiamoci che l’intera area delle Officine FFS deve restare riservata al lavoro e all’istruzione!)
Lo stesso discorso vale per Lugano e, forse, per Locarno; non vale per Mendrisio che è e resterà un borgo, non mi sembra abbia le caratteristiche morfologiche per aspirare a diventare città (Chiasso, per esempio, è più cittadina). La Città (come il villaggio e il borgo), fondamentalmente, ha poche regole. La prima è un limite: dentro si costruisce, fuori no. La seconda regola è la definizione di spazio pubblico (strade e piazze), spazio privato (corti e cortili) e spazi intimi (anche patii, orti e certi giardini, ma non le strisce di verde di 4-5 metri di larghezza intorno agli edifici). Sono gli edifici – spesso contigui, posti sul confine della parcella (o della proprietà) – e alti muri di cinta che definiscono lo spazio pubblico. Spazi, pubblici e privati, dentro i quali la comunità s’identifica; importante che gli animali feroci e le automobili siano subordinati alle persone, ai pedoni.
La densificazione – tramite sopraelevazioni, ricostruzioni, sostituzioni, nuove costruzioni, … – è la regola che fa la ricchezza della città e testimonia l’evoluzione storica di tipologie abitative, tecniche di costruzione, materiali,… spesso importati da altri luoghi o imposti da altri o da convenienza economica (in economia anche la fatica) e testimonia l’evoluzione di una comunità.
La contrapposizione tra città e campagna (campi, prati, vigna, frutteti, pascoli, boschi) era dettata dalla necessità di sussistenza e da criteri di economia nel rispetto dell’uso parsimonioso delle risorse, dell’energia e del territorio (per risorse ed energie s’intendono anche quelle umane). Quando la città era satura (difficile da densificare ulteriormente) si procedeva all’ingrandimento dell’area, alla sua ridefinizione, secondo criteri di uso parsimonioso.
Persistendo sullo «sviluppo insediativo centripeto»1 , possiamo, dobbiamo, estirpare (o almeno contenere) la periferia cancerogena – che ha costi economici, sociali e ambientali insostenibili – per ricostruire la Campagna, costruire Città, tendere all’uso parsimonioso, inventare nuovo lavoro.
1 La LPT (Legge sulla Pianificazione Territoriale) ha introdotto lo strumento dello «sviluppo insediativo centripeto», molto interessante, che, se applicato coerentemente, può contribuire alla riorganizzazione del territorio: «In sintesi si tratta di guidare l’evoluzione degli insediamenti verso una maggiore concentrazione di abitanti e posti di lavoro in luoghi strategici, luoghi ben allacciati al trasporto pubblico, dotati di commerci e servizi alla popolazione e all’economia, nonché di punti d’attrazione per attività di vario tipo (culturali, di svago ecc.)».
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