recensione di Franco Cavalli
L’incipit della prefazione del libro, redatta dal nostro amico Ken Loach, riassume bene questo saggio: «Questo è un libro che dovrebbe farvi arrabbiare moltissimo.
È la storia di un giornalista imprigionato e trattato con insostenibile crudeltà per aver rivelato crimini di guerra, della determinazione dei politici inglesi e americani di distruggerlo, e della quieta convivenza dei media in questa mostruosa ingiustizia».
Verso la fine della prefazione Ken Loach ricorda anche il ruolo giocato per diversi anni nel perseguire Assange da parte del Crown Prosecution Service di Keir Starmer, allora alla guida dell’accusa, ora capo del Partito laburista, nonché giustiziere di Corbyn e responsabile dell’espulsione di Ken Loach dal partito.
Stefania Maurizi è una giornalista di inchiesta che scrive attualmente per «Il Fatto Quotidiano» e l’unica probabilmente ad avere indagato seriamente sui documenti segreti di Wikileaks, anche perché ha avuto la fortuna di incontrare in varie occasioni e di nascosto Assange.
Il libro, estremamente ben documentato, tanto da essere talora un po’ ridondante, si legge però come un thriller, proprio perché sono stati innumerevoli i tentativi della macchina infernale del Pentagono, sostenuta da tutti i servizi segreti europei, per stritolare i fondatori di Wikileaks, che avevano appunto la sfrontatezza di rivelare una serie di crimini contro l’umanità perpetrati soprattutto in Iraq ed in Afghanistan dalle potenze occidentali. Assange è forse solo il più conosciuto dei vari whistleblowers che hanno subito punizioni estremamente crudeli: ricordiamoci il più recente, quella di quasi cinque anni di galera inflitta a D. Hale (di cui abbiamo riferito nel Quaderno 33), condannato per aver pubblicato documenti che dimostrato stragi di civili, comprese donne e bambini, perpetrati dai droni americani in Afghanistan.
L’autrice dimostra con una documentazione estremamente esaustiva quante macchinazioni siano state organizzate contro Assange, comprese invenzioni di presunte violenze sessuali perpetrate in Svezia dal fondatore di Wikileaks. Certo, Assange, che ha avuto un’infanzia molto difficile, ha talora un comportamento autoritario e da prima donna scontrosa. Probabilmente però ha potuto sopravvivere e continuare a denunciare le malefatte criminali delle potenze occidentali solo comportandosi in questo modo. Può darsi che questo suo atteggiamento abbia fatto arricciare il naso a diversi giornalisti, soprattutto radical chic.
Una delle conclusioni più deprimenti a cui si arriva leggendo bene questo saggio, è che quasi sempre i molto lodati media liberal, New York Times in testa, quando la voce del padrone diventa dominante, hanno anche loro la coda di paglia e se ne stanno zitti. Altro che difesa della democrazia e dello stato di diritto, di cui dovrebbero essere i campioni, seguendo la narrazione molto cara a tanti giornalisti «di sinistra» anche alle nostre latitudini. Intanto Assange ha vissuto per oltre dieci anni vive tra prigioni e nascondigli in ambasciate più o meno accoglienti, e da oltre due anni è in un carcere tra i più duri in Inghilterra e, secondo la sua compagna, in condizioni fisiche sempre peggiori. Attualmente è in corso la revisione del processo, che potrebbe sfociare in una sua estradizione agli Stati Uniti, dove l’attende una condanna a diversi ergastoli.
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