di Chiara Cruciati, giornalista
Settimo giorno di battaglia intorno alla prigione Sina’a nel quartiere di Ghiweiran a Hasakah, città della Siria del nord-est. L’assalto coordinato da decine di cellule dello Stato islamico, iniziato giovedì sera, è stato disinnescato dalle Forze democratiche siriane (Sdf), ma il carcere – dove sono detenuti circa 5mila miliziani islamisti – resta luogo di rivolta e scontro.
Le Sdf circondano l’intera struttura e ieri hanno ripreso otto dormitori in mano ai detenuti. Altri 250 islamisti si sono arresi, accogliendo l’appello delle Forze democratiche: sono 1'000 al momento i miliziani usciti dal carcere e distribuiti in altre prigioni nel Rojava. Ventitré gli ostaggi liberati, funzionari civili del carcere. Restano in mano agli islamisti centinaia di minori tra i 12 e i 17 anni, bambini-soldato addestrati dall’Isis e destinati dalle Sdf a una sezione separata della struttura dedicata alla loro deradicalizzazione.
Ma gli scontri proseguono anche fuori, nei quartieri di al-Zuhour e Ghiweiran, dove gli islamisti arrivati da fuori città ancora si nascondono approfittando della fuga di circa 6mila civili, evacuati dalle Sdf e ora sfollati in centri di accoglienza. Resta il coprifuoco nella città, non si entra e non si esce se non dietro autorizzazione delle Sdf; a rimanere funzionanti sono solo forni, cliniche e stazioni di benzina.
Nelle stesse ore le Forze democratiche hanno individuato e arrestato quattro membri dello Stato islamico nel campo di Al-Hol, alle porte di Hasakah. Qui sono detenuti migliaia di islamisti, ma soprattutto decine di migliaia di loro familiari, donne e bambini. Non è la prima volta che l’Isis riesce a infiltrare il campo e far evadere islamisti detenuti.
Con le armi: le Sdf hanno trovato kalashnikov, munizioni e cellulari. A riprova che lo Stato islamico è ancora attivo nel territorio, anche grazie al poroso confine con l’Iraq e al sostegno più o meno diretto della Turchia, che dall’ottobre 2019 occupa una porzione significativa di Siria del nord-est: secondo le confessioni raccolte dagli islamisti catturati ad Hasakah, moltissimi dei partecipanti all’assalto di Sina’a provenivano da Gire Spi e Serekaniye, città occupate e amministrate dalle milizie islamiste alleate di Ankara. Da lì hanno organizzato, negli ultimi sei mesi, l’attacco, raccogliendo l’intelligence necessaria e reclutando le cellule dormienti sparse sul territorio.
Sullo sfondo resta dunque il ruolo peloso della Turchia (che stamattina alle 11 ha bombardato nei dintorni delle città di al-Bab e Manbij, nella parte ovest del Rojava, aggravando il peso sulle Sdf già impegnate ad Hasakah) e quello indifferente della comunità internazionale che, nel settimo anniversario dalla liberazione di Kobane, non ha ancora assunto le proprie responsabilità né espatriando i rispettivi foreign fighters né riconoscendo l’Amministrazione autonoma, mantenendola in un pericoloso stato di isolamento ed embargo.