di Avv. Immacolata Iglio Rezzonico
Accade che in un momento della propria vita qualcosa sconvolga la nostra routine e ci metta di fronte ad eventi che mai avremmo creduto di poter, voler e dover vedere.
Accade che quei momenti ci sconvolgano talmente tanto da produrre emozioni tali da poter mettere in crisi le nostre zone comfort.
Accade così che si decida di mettersi in discussione, dando spazio alle emozioni, più disparate. E cosa più di una guerra può mettere in atto questo movimento interno?
Accade così che le persone che si trovano in zone di guerra debbano letteralmente abbandonare la propria vita, la propria routine, la propria casa, i propri familiari, il proprio lavoro e cercare rifugio.
Accade così che il 24 febbraio 2022 (giorno in cui la Russia invade l’Ucraina) il mondo viene sconvolto da questo evento drammatico chiamato «guerra».
E accade, allora, che… il mondo, scosso dalle immagini terrificanti di bombardamenti, distruzioni, bambini piangenti e persone in fuga, decida di uscire dalla sua zona comfort e dare rifugio a chi la guerra la sta subendo sulla propria pelle. Anche la Svizzera, nota per la sua democratica accoglienza di persone in fuga (!!?) decide di spalancare le proprie frontiere. Non solo. Si adopera per andare a recuperare già lungo il percorso queste persone, favorendo, nel contempo, che anche privati cittadini possano organizzare i trasporti lungo la «rotta». Riconoscendo che non è una colpa di chi fugge, uscire dal proprio paese d’origine per cercare protezione, favorisce inserimento e libertà di movimento, concedendo ad ogni (?) persona che giunge dall’Ucraina un permesso «S». Con questo permesso, infatti, le persone possono viaggiare in tutta la Svizzera e anche all’estero, possono immediatamente essere inseriti nel mondo del lavoro, i bambini immediatamente scolarizzati nelle scuole pubbliche; possono immediatamente essere accolte in appartamenti, famiglie e/o strutture, di cui gli stessi cittadini svizzeri ignoravano l’esistenza o create ad hoc.
Il 24 febbraio 2022, il mondo si ferma davanti all’evento così sconvolgente, che è la guerra in Ucraina, esce dal suo torpore e sprigiona il meglio di sé: accoglienza e bontà. La Svizzera si accoda. D’altronde dopo la seconda guerra mondiale nel mondo non si ricorda un disastro umanitario di tale portata…? Siria, Irak, Eritrea, Etiopia, Yemen, Congo, Colombia, Cile, Vietnam, Cambogia, Afghanistan Myanmar etc., etc., etc., sono solo alcuni dei «conflitti» che ci sono stati dopo la seconda guerra mondiale alcuni ancora in atto… lontani però, dal «mondo» nel tempo, nello spazio e probabilmente nella tipologia di persone coinvolte. Sì, perché solo così si potrebbe spiegare perché un evento sconvolgente come una guerra abbia sulle persone che vivono alle nostre latitudini una ripercussione «umana» solo se si svolge in Europa.
Le immagini che i media trasmettono del bambino… bianco che piange da solo lungo la rotta per uscire dall’Ucraina e cercare rifugio in un vicino paese europeo, della donna bianca con figli che, per fuggire, si trova al gelo al confine con Bielorussia e Polonia, degli uomini che combattono per la loro terra o che fuggono perché contrari alla guerra, all’improvviso ci rendono empatici e accoglienti nei confronti di queste persone, perché riusciamo ad identificarci con esse.
Sono come noi
Per questo riusciamo a cogliere la paura, il dolore, la sofferenza, la rabbia che in queste persone scorre, perché le sentiamo nostre, perché altrettanto bianchi e europei. Ed è per questo che non riusciamo a cogliere la stessa paura, lo stesso dolore, la stessa sofferenza la stessa rabbia che scorre nelle persone (bambini, donne, uomini, famiglie) che da più di un anno sono bloccate allo stesso confine con la Bielorussia e che muoiono di stenti e freddo, ancora adesso che agli Ucraini le frontiere vengono aperte. È per questo che non riusciamo a cogliere e sentire la stessa empatia nei confronti di bambini, donne, uomini e famiglie che scappano dalla Siria, dall’Iraq, dall’Eritrea e da tutti i paesi in cui è in corso un conflitto o vi sono dittature.
Sono diversi da noi
Eppure apparterremmo tutti alla razza umana. Ma a quanto pare ancora, dopo la seconda guerra mondiale, in cui il razzismo ha fatto da padrone, la «razza» ha un’importanza fondamentale nella scelta di ognuno di noi ad essere davvero umano. E così all’improvviso, in questo delirio di (dis) umanità, anche la Svizzera (autorità e cittadini compresi) si adegua, creando discriminazioni e disuguaglianze aberranti. E così mentre tutti quelli che, fino ad ora sono scappati dalle guerre, dovevano e devono depositare domanda d’asilo, essere chiusi in centri di cosiddetta accoglienza che somigliano molto di più a prigioni, non avere immediato accesso alla scolarizzazione, al lavoro e ad alloggi dignitosi, i cittadini ucraini possono immediatamente avere un permesso, che tutte queste libertà le concede da subito.
Se tutti quelli che fino ad oggi hanno aiutato persone in cerca di protezione ad attraversare il confine svizzero, per farli arrivare in un paese dove volevano vivere o dove avevano una rete di conoscenti e familiari, sono stati condannati penalmente, oggi si sono organizzati e autorizzati addirittura bus per andare a recuperare cittadini ucraini che stavano scappando. Se tutti i minori, compresi quelli non accompagnati venivano e vengono sottoposti a test ritenuti inattendibili anche dagli stessi medici che li effettuano, per verificare l’età e vedersi così, nella maggior parte delle volte, pregiudicata la possibilità di una protezione specifica, i minori ucraini vengono immediatamente considerati tali e possono accedere alla scolarizzazione entrando nelle scuole pubbliche. Gli altri minorenni, invece, devono «scolarizzarsi» all’interno del centro di registrazione. Se fino ad ora non ci si era preoccupati, nemmeno a livello mediatico, di interrogarsi su come proteggere i minorenni non accompagnati, oggi politici, intellettuali, gente comune si pone il problema per i bambini ucraini. Se tutti quelli che fino ad oggi hanno accolto in casa persone che fuggivano dal loro paese, sono state condannate e anche messe in prigione, oggi se si accolgono ucraini, si ha il benestare delle autorità.
Sorge spontanea perciò una domanda.
La guerra in Ucraina ha davvero fatto emergere il lato umano di ognuno di noi? Ha davvero permesso alle autorità svizzere di modificare la restrittiva legge sull’asilo? Purtroppo no. Persone provenienti da altri paesi in guerra continuano a dover essere sottoposti a procedure umilianti e invasive, per cercare di ottenere protezione in Svizzera. I minori provenienti da paesi diversi dall’Ucraina, continuano ad essere sottoposti ai test per verificarne l’età, sono costretti a «fare scuola» all’interno dei centri di registrazione, senza poter relazionarsi ed interagire con i minori che frequentano le nostre scuole. Chi accoglie in casa un profugo che non sia ucraino, viene ancora condannato penalmente, così come chi cerca di far attraversare i nostri confini.
Persone che la Svizzera ritiene non bisognose di protezione, che, però, non possono tornare nel proprio paese, continuano a rimanere in un limbo di non vita e mancanza di prospettive, alcune chiuse anche per anni in un bunker, mentre agli ucraini viene dato immediato alloggio in prefabbricati, strutture e famiglie, di cui nemmeno se ne conosceva l’esistenza. Le disparità di trattamento e le discriminazioni sono innumerevoli ed evidenti. Se da una parte ci si rallegra di tutta questa spinta umanitaria di accoglienza e dell’applicazione di eccezioni a rigide e selettive leggi sull’asilo, dall’altra ci si chiede come mai fino ad ora questo non sia accaduto. Non si tratta di puntare il dito sugli ucraini, che vanno accolti e protetti, ma di richiamare l’attenzione delle autorità e della popolazione sulla disparità di trattamento che si sta mettendo in atto, affinché ci si ponga la questione, si trovi una risposta e di conseguenza una soluzione.
La Svizzera rinnega la guerra ed è un paese neutrale e questa neutralità dovrebbe essere confermata nei comportamenti e nell’applicazione di leggi uguali per tutti: nella stessa situazione adotto gli stessi provvedimenti. Se, come nel caso attuale non lo fa, anzi, prende posizione, favorendo un popolo piuttosto che altri, che subiscono e/o hanno subito guerre, conflitti, dittature, torture, servizi militari al limite della schiavitù, violenze e stupri etnici, rimane poco margine di umanità e la scelta di aiutare solo alcuni, porta purtroppo a tempi non così lontani, durante i quali i privilegi li avevano solo quelli che rispondevano ad un ben determinato criterio «razziale».
È davvero questo ciò che vogliono la Svizzera e la sua popolazione, che tanto altruismo selettivo sta manifestando?
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