L'editoriale - Q42
Ad un anno dall’inizio della criminale invasione russa, il fronte è in stallo. Nessuno si azzarda a fare pronostici per il futuro ed i contendenti sembrano non avere nessuna voglia di pensare a come si possa uscire da questa situazione, che diventa sempre più pericolosa.
Ricorda molto la 1ª Guerra Mondiale, iniziata quasi casualmente, per poi durare quattro anni causando 20 milioni di morti, concludendosi solo per sfinimento dei contendenti, incapaci di trovare un’uscita diplomatica prima del crollo finale.
Anche se vari Think Tanks, premi Nobel per la pace e personaggi illustri (si pensi solo al Papa) abbozzano proposte per arrivare almeno ad un armistizio, la diplomazia ufficiale sembra totalmente paralizzata. Le uniche voci in capitolo sembrano quelle di chi sbraita per avere più soldati ed armi sempre più micidiali, provocando così altre sofferenze al martoriato popolo ucraino e la crescita del numero di morti. Eppure approfondendo anche superficialmente le cause che hanno portato a questo evitabile conflitto (ah, se ci fosse ancora la Merkel…), non parrebbe difficile delineare alcuni spunti che consentano di sedersi attorno a un tavolo.
Se è vero che l’evento scatenante è stata l’ingiustificabile aggressione russa, il quadro di fondo è molto più complesso, come ha ripetutamente scritto Dick Marty, che ben conosce quelle terre dopo molte missioni portate a termine per il Consiglio d’Europa.
Sullo sfondo ci sono lotte tra oligarchi, le migliaia di morti della guerra civile nel Donbass che perdura dal 2014 (di cui nessuno può dirsi innocente) e lo strafottente rifiuto della NATO e Washington di riconoscere le comprensibili richieste russe di sicurezza che, contrariamente a quanto pattuito a suo tempo, si ritrova i missili occidentali davanti alla porta di casa. La propaganda demagogica e sciovinista putiniana, sempre più intrisa di contenuti fascistoidi, ringrazia.
Sessant’anni fa la diplomazia salvò il mondo da una guerra nucleare. I sovietici ritirarono i missili da Cuba e gli Usa fecero altrettanto in Turchia. In questo caso, durante gli ultimi colloqui russo-americani a Ginevra precedenti l’aggressione putiniana, Washington si rifiutò di discutere le richieste di sicurezza russe e la non entrata ucraina nella Nato.
Oggi la fornitura di armi offensive e missili a lunga gittata a Kiev, non fanno altro che avvicinarci sempre più al rischio concreto di una risposta nucleare di Putin.
Di fronte ad un simile scenario apocalittico, diventa ozioso l’arzigogolare di diversi filosofi anche locali sull’insistente domandarsi quanti tipi di pacifismo ci siano e sin dove ci si può spingere nel fare concessioni. Invece d’incolpare il mondo pacifista, quest’ultimi si chiedano piuttosto chi trae vantaggio dal perpetrarsi della tragedia della guerra. Da una parte, la nomenclatura e l’oligarchia capitalista putiniana, facendo marcia indietro arrischia d’essere spazzata via da quella stessa ondata di revanscismo neoimperiale da loro stessi fomentato.
In Occidente invece la NATO, venduta a suo tempo come alleanza difensiva contro il Patto di Varsavia, alla scomparsa di quest’ultimo ha cercato di costruirsi una legittimità dando seguito a una serie di aggressioni militari che hanno provocato milioni di morti (Daniele Ganser, Le guerre illegali della NATO, Fazi Editore 2022). Ma tra i beneficiari della guerra duratura, ci sono principalmente le oligarchie occidentali attive nel settore dell’energia e delle armi. I quasi 50 miliardi di profitti del 2022 di Shell (di cui 4 miliardi in dividendi), sono solo l’ultima di una lunga serie di profitti sbalorditivi di queste oligarchie.
Da vent’anni il sistema capitalistico globale è in crisi, non trovando sufficienti sbocchi ai miliardi accumulati dal capitalismo finanziario. La storia insegna quanto la guerra sia sempre stata considerata dagli affaristi un’ottima via d’uscita alla crisi capitalista.
Il leggendario fondatore del socialismo francese J. Jaurès diceva: “Il capitalismo porta dentro di sé la guerra come le nuvole portano l’acqua”. Una massima purtroppo sempre valida. Ecco perché il vero pacifismo non può che essere anticapitalista.
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