di RedQ
Siamo ormai all’ecocidio - Assieme alla crescita che sembra quasi inarrestabile delle ingiustizie sociali, la crisi climatica rappresenta l’altro grave pericolo che incombe attualmente sulla nostra società.
In queste colonne ne abbiamo parlato spesso, sia per quanto riguarda l’aumento quasi criminoso d’investimenti bancari nelle trivellazioni per cercare nuove sorgenti d’energia fossile (addirittura in una zona sensibile come l’Artico! Come le banche distruggono il clima artico. Quaderno 35, pag. 8) che in riferimento all’aumento sempre più marcato della mortalità a seguito della crisi climatica (Fermiamo il cambiamento climatico, per il bene della nostra salute. Quaderno 37, pag. 14-15). Questa crisi sta sconvolgendo anche il mondo animale con un aumento vertiginoso delle probabilità di sviluppo di nuove zoonosi, come è stato il caso per la pandemia da Covid.
Durante questa pandemia, quando tutti sembravano d’accordo nel dire “dobbiamo cambiare il modo di vivere e non tornare alla situazione di prima”, addirittura le compagnie petrolifere sembravano voler mettere un argine alle loro attività perniciose. Così tutti i grandi capi perlomeno delle società europee (BP, Shell, TotalEnergies, ENI) avevano riconosciuto che era giunto il momento d’investire maggiormente nelle energie rinnovabili e di limitare l’uso delle energie fossili. Essi si erano addirittura spinti a dirsi d’accordo di raggiungere entro il 2050 la neutralità per quanto riguarda la produzione di CO2.
Naturalmente, considerando i loro legami con il Trumpismo dilagante, le compagnie petrolifere americane ed avantutto Exxon e Chevron avevano invece messo in dubbio l’utilità di queste nuove scelte. Non si deve difatti dimenticare che erano state proprio queste compagnie ad aver finanziato per anni quegli “esperti” che si erano dannati l’anima nel sostenere, contrariamente alla stragrande maggioranza degli scienziati, che la crisi climatica non aveva come causa principale l’attività dell’uomo.
Recentemente Le Monde (2 luglio 2023) ha pubblicato una dettagliata documentazione che suona come un terrificante atto d’accusa contro le società petrolifere europee che, passata la crisi, sembrano aver completamente dimenticato le loro promesse. Anzi, accampando le necessità della concorrenza con i gruppi petroliferi statunitensi, si stanno buttando a capofitto nell’incrementare nuovi prodotti energetici d’origine fossile. Così il nuovo CEO di Shell Wael Sawan ha annunciato a metà giugno che la società anglo-olandese rinunciava ufficialmente alle promesse fatte in precedenza e che invece avrebbe nuovamente investito massicciamente nella ricerca di nuove sorgenti fossili. Lo stesso aveva fatto il CEO di BP un paio di mesi prima, tant’è vero che la chiesa anglicana ha ora deciso di ritirare tutti i capitali che aveva investito in BP e in Shell. Dichiarazioni simili sono venute da ENI e da TotalEnergies.
E sì che ancora due anni fa l’Agenzia Internazionale dell’Energia (AIE), che nel passato aveva sempre difeso la posizione dei giganti petroliferi, aveva ufficialmente dichiarato che gli accordi di Parigi sul clima potevano essere realizzati solo se nessun nuovo pozzo di petrolio o di gas sarebbe stato messo in funzione. Perciò ora i grandi magnati del petrolio se la prendono addirittura con l’AIE, dichiarando che farebbe meglio a convincere i governi affinché quest’ultimi insegnino ai loro concittadini come consumare meno energia.
Difatti i magnati del petrolio, da incredibili sepolcri imbiancati, sostengono ora all’unisono che loro non hanno nessuna responsabilità, ma che semplicemente rispondono all’aumento della domanda di energia da parte dei consumatori.
Questo argomento ricorda quanto per lungo tempo han detto i produttori di sigarette, per i quali la colpa era di chi voleva fumare e non di loro stessi che facevano il possibile per assicurarsi enormi guadagni. Le Monde fa appunto il paragone tra compagnie petrolifere e del tabacco: entrambe finché han potuto hanno finanziato “studi scientifici”, che avrebbero dovuto dimostrare la non-pericolosità dei loro prodotti. Quando ciò non è più stato possibile, entrambe si son lavate la coscienza dando la colpa ai consumatori, cercando però di nascondere i loro enormi profitti criminosi.
Basti pensare che nel 2022 le cinque principali compagnie petrolifere hanno guadagnato quasi 160 miliardi di dollari, in parte anche grazie all’aumento dei prezzi da loro attribuito unicamente alla guerra in Ucraina. Non meraviglia quindi che nessuno di loro, come è anche il caso per i produttori di armi, si stia strappando le vesti per cercare di favorire la ricerca di un armistizio che ponga fine a questo delirante conflitto.
L’articolo di Le Monde si conclude citando una caricatura di Tom Toro pubblicata qualche anno prima dal New Yorker e nella quale un grande capitalista spiegava a dei ragazzi increduli e strabiliati “certo, il mondo è distrutto. Però, durante un periodo straordinariamente felice della storia, abbiamo potuto creare dei guadagni incredibili per i nostri azionisti”.
Come avviene con le caricature di Chapatte, anche questa in fondo basta per spiegare quanto sta capitando.
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