di Graziano Pestoni, già presidente USS-Ticino e Moesa
L’Unione europea è nata come un grande progetto del ventesimo secolo. Per molti è perfino stata la realizzazione di un sogno. Da quando, negli anni Ottanta, ha fatto la scelta neoliberale, l’UE funziona però come una potente organizzazione commerciale, con competenze eccezionali.
Essa può infatti imporre agli Stati membri e un po’ anche alla Svizzera, la politica economica, sociale, finanziaria, non da ultimo privatizzazioni e austerità.
In questi quarant’anni l’UE ha imposto ai paesi membri migliaia di privatizzazioni: ferrovie, elettricità, scuole, poste, prigioni, acqua potabile, metropolitane, ospedali, sistemi di sicurezza,
e sgravi fiscali sui redditi e patrimoni importanti. I risultati li conosciamo: meno benessere alle popolazioni, più disuguaglianza. Non mi risulta che l’UE abbia fatto un bilancio dei risultati
della sua politica. Ma continua con le sue scelte nefaste, con immutato impegno.
L’accordo quadro del 2019
La Svizzera, dopo la bocciatura popolare del 1992 dello Spazio economico europeo, ha sviluppato una serie di accordi bilaterali con l’UE. Nel 2019 ha avviato trattative per l’adozione di un
accordo quadro. Il 26 febbraio 2021 il Consiglio federale ha interrotto le trattative su questo accordo, in quanto lo stesso non avrebbe superato lo scoglio del voto popolare. Infatti, i
sindacati e l’UDC avevano espresso la loro contrarierà.
Ricordo che questo accordo non consisteva in un piano di sviluppo inteso a migliorare le condizioni di lavoro e di vita in Europa e in Svizzera. In altre parole, esso non intendeva conferire allo
Stato un ruolo positivo per promuovere l’economia, la ricerca, la formazione, la socialità, l’energia, i trasporti pubblici.
Esso comprendeva invece una serie di misure puntuali allo scopo di allineare la legislazione svizzera a quella europea e ad adeguare molte attività secondo la politica neo-liberale in voga
nell’UE ormai da diversi decenni. L’obiettivo era quindi quello di orientare la nostra politica verso il mercato e la concorrenza, a scapito degli interessi dei cittadini e dei salariati.
In particolare, l’accordo:
- rimetteva in discussione il diritto del lavoro del nostro Paese, già non molto ricco. Riduceva per esempio le misure di accompagnamento alla libera circolazione delle persone, già oggi insufficienti, aumentando in questo modo le possibilità di abusi. Il risultato sarebbe stata la conferma di bassi salari, soprattutto nelle zone di frontiera, dumping, precarizzazioni. Decretava la supremazia della libertà di impresa rispetto alla tutela dei lavoratori;
- le decisioni della Corte di giustizia sarebbero state applicate anche alla Svizzera. Ad esempio, sarebbero state applicabili le condizioni di lavoro del paese sede dell’azienda e non quello in cui il lavoro viene svolto;
- promuoveva la privatizzazione dei servizi pubblici;
- decretava la fine della politica regionale, in quanto in contrasto con i principi fondamentali dell’UE, che privilegiano il mercato e la concorrenza. BancaStato, per esempio, non avrebbe più potuto beneficiare della garanzia da parte dello Stato;
- imponeva la ripresa automatica delle direttive emanate dall’UE, perfino nei campi in cui ciò avrebbe comportato una modifica costituzionale. Nel caso di rifiuto da parte del popolo, l’UE avrebbe potuto adottare sanzioni contro la Svizzera, di fatto annullando lo strumento democratico del voto popolare.
L’adozione di questo accordo avrebbe permesso ai gruppi economici e finanziari di aumentare i loro profitti, mentre era dannosa per i salariati, ai quali sarebbero stati imposti peggioramenti
rilevanti, e per i cittadini, che sarebbero stati privati da fondamentali diritti democratici e subire le conseguenze delle privatizzazioni. L’Unione sindacale, pur ritenendo necessario garantire
buone relazioni con l’UE non poteva quindi aderire a un simile progetto.
Tre anni dopo, il 20 marzo 2024, dopo la consultazione di cantoni, partiti, ambienti economici e sindacati, il CF ha deciso di chiedere l’apertura formale di nuove trattative per l’elaborazione
di un nuovo accordo quadro.
Cosa è cambiato in questi tre anni? Quali sono le proposte formulate dalla Svizzera? Sono state raccolte le critiche formulate dall’Unione sindacale svizzera sul primo Accordo quadro?
Vediamo.
Ricatti meschini
Come dicevo, l’UE ha ampie competenze. Tra queste figurano quelle di imporre sanzioni e ricatti ai paesi che non si adeguano alle sue direttive. Anche la Svizzera è stata colpita da sanzioni, che
sarebbe meglio definire ricatti meschini. Dopo la sospensione delle trattative sull’accordo quadro, per esempio, l’UE ha sospeso gli accordi Horizon Europe (vedi CdT 6.10.2023) sugli
importantissimi programmi di ricerca. Anche in questo caso hanno avuto il sopravvento i poco trasparenti affari commerciali all’interesse dei risultati della ricerca, perfino in campo sanitario
dove la posta in gioco è la cura delle persone e qualche volta la stessa sopravvivenza. Thomas Hefti, ex consigliere agli Stati (PLR) (le Temps 9.10.2023) sottolinea l’importanza di avere
relazioni stabili, ma non a qualsiasi prezzo. È inaccettabile, afferma, che l’UE metta la Svizzera sotto pressione. Per esempio, mentre esclude il nostro paese dagli accordi sulla ricerca li
sottoscrive con Israele, uno stato estraneo all’UE e perfino lontano geograficamente. I problemi istituzionali, rileva sempre Hefti, non possono essere sottovalutati ed è difficile capire la
rigidità dell’UE nei confronti della Svizzera. Una soluzione sembra ora in corso, anche se la stessa ha richiesto un versamento da parte della Svizzera di un contributo supplementare di 650
milioni di franchi.
Ricatti simili sono pure in corso nel campo dell’energia elettrica. La Svizzera sarebbe colpevole di non liberalizzare totalmente il settore, quindi l’UE impone limiti agli accordi di
collaborazione, in un momento in cui il settore energetico è sottoposto a grandi difficoltà.
Forse anche per queste ragioni, le popolazioni, sempre più sovente, sono disorientate e dissentono, qualche volta in modo silenzioso, disertando le urne, altre volte aderendo a manifestazioni più
o meno imponenti. Forse anche la progressione elettorale dei movimenti di estrema destra è il risultato di questa politica. Ma l’analisi sul tema esula da questo articolo.
I sondaggi (Swissinfo 23.9 .2022) rilevano in ogni modo il cambiamento di opinione della popolazione svizzera. I sondaggi su “sei favorevole all’adesione?” sui giovani dal 18 ai 34 anni hanno
dato i risultati seguenti (percentuale di favorevoli):
1995 59.2%
2007 31%
2015 9.9%
2019 6.5%
L’insieme della popolazione, nel 2019, ha pure dato un risultato altamente negativo (15.6% uomini; 13.4% donne favorevoli all’adesione).
L’accordo del 2024, (quasi) nulla di nuovo, anzi…
La sospensione delle trattative sull’accordo quadro nel 2021, come ho ricordato, era stata motivata dal fatto che non avrebbe superato il voto popolare, in seguito all’opposizione sindacale, per
le ragioni indicate in precedenza, e a quella dell’UDC, sui diritti popolari. Si poteva immaginare che nei nuovi accordi sarebbero state considerate almeno una parte delle obiezioni. In realtà,
nemmeno le problematiche risolvibili dal nostro Parlamento sono state considerate. Penso alla libera circolazione delle persone. Una conquista interessante. Però l’insufficienza delle misure di
accompagnamento crea gravi problemi nel mondo del lavoro. Per evitare il dumping salariale, i bassi salari, la precarizzazione dei rapporti di lavoro basterebbe ad esempio estendere la validità
dei contratti collettivi di lavoro oppure adottare contratti normali di lavoro a livello nazionale, con norme vincolanti sui salari e le condizioni di lavoro. Il nostro parlamento ha privilegiato
le tesi padronali.
Anche sugli altri temi non c’è quasi nulla di nuovo. Sulla corte di giustizia. Sulla privatizzazione dei servizi pubblici. Sulla politica regionale. Sulla ripresa automatica delle direttive
emanate dall’UE.
Addirittura sono state aggiunte due altre questioni: sull’energia idroelettrica e sul trasporto ferroviario. In campo energetico il CF, incurante dei gravi problemi provocati dalla
liberalizzazione in Europa sia sui prezzi, sia sulla fornitura di energia, propone la liberalizzazione totale del mercato e la separazione della produzione dalla distribuzione. La produzione
sarebbe aperta alla concorrenza, rendendo impossibile pianificare grandi investimenti a lungo termine. Sarebbe la fine in Svizzera del servizio pubblico idroelettrico. Il mandato prevede inoltre
il divieto di stipulare dei contratti di acquisto a lungo termine, la sola soluzione per garantire un approvvigionamento sicuro e sfuggire dalle speculazioni. Una scelta in evidente contrasto con
i principi di un servizio pubblico in campo energetico.
Il CF propone poi la liberalizzazione del traffico ferroviario internazionale dei viaggiatori. Il sindacato dei trasporti (SEV), di solito molto prudente, ritiene “irresponsabile che la Svizzera
utilizzi l’apertura del mercato nel trasporto viaggiatori internazionale su rotaia come oggetto di trattative”. La Svizzera dovrebbe invece cercare di illustrare all’UE i vantaggi del modello
cooperativo di trasporti pubblici della Svizzera (SEV 8 marzo 2024). L’UE intanto minaccia sanzioni se la Svizzera rifiuterà la liberalizzazione del traffico viaggiatori internazionale (SEV 10
marzo). Occorre ricordare che il sistema ferroviario meglio funzionante è quello in atto in Svizzere e in Austria. In Inghilterra, Germania e Grecia invece le ferrovie sono state liberalizzate e
vengono organizzate le gare di appalto. Il che significa che spesso non vince il miglior fornitore, ma quello più economico. È ovvio che la Commissione europea dovrebbe seguire gli esempi di
Svizzera e Austria. Ma si attiene al dogma della liberalizzazione (SEV 24.11.2023).
“Bisogna abbandonare il sistema neo-liberale”
Come si può constatare, la sottoscrizione di uno o più accordi tra la Svizzera e l’UE non risolverà nessuno dei problemi ai quali siamo confrontati. Non favorisce lo sviluppo dell’economia né
della Svizzera, né dell’UE. Non affronta i problemi economici, politici, tecnologici e sociali. Le politiche di austerità, le privatizzazioni, le misure di risparmio, i tagli sul mondo del lavoro
sono in contrasto con una politica atta ad affronare una politica di sviluppo. Si tratta di una politica miope. Come afferma Alfonso Tuor (CdT 22.12.2023) “il risultato è che oggi l’Europa è
ancora ai piedi della scala…l’Europa non vede le sfide all’orizzonte e ancora meno le pone all’ordine del giorno”.
50 anni dopo la pubblicazione del famosissimo rapporto al Club di Roma denominato “I limiti dello sviluppo” nel quale si avvertiva dell’impossibilità di una crescita infinita in un modo limitato,
recentemente è stato pubblicato un nuovo rapporto “Una terra per tutti”. Nello stesso si mette nuovamente l’accento sulle sfide dell’umanità: porre fine alla povertà, affrontare le crescenti
disuguaglianze, rendere il sistema alimentare sano per le persone e per gli ecosistemi, passare all’energia pulita. Nell’introduzione il rapporto avverte che quando gravi disuguaglianze corrodono
la fiducia, diventa difficile per le società democratiche giungere a decisioni collettive sul lungo termine. Il rapporto mostra, inoltre, come il prossimo decennio vedrà la trasformazione
economica più veloce della storia.
La co-presidente del Club di Roma e co-relatrice del rapporto, Sandrine Dixson-Declève, afferma (le Temps 20.11.2923) che “per risolvere i problemi del nostro tempo bisogna abbandonare il sistema
neo-liberale. Ciò significa rinunciare alla politica fondata sul mercato, la competitività, la concorrenza, principi ritenuti sacri dall’UE.
Infatti, una diversa politica dell’UE permetterebbe di adottare forme sane di sviluppo, di stipulare facilmente accordi con la Svizzera e di abbandonare la meschina politica dei ricatti.
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