Le tappe della distruzione della posta e l'ignavia delle forze progressiste

Q50 - Graziano Pestoni, presidente Associazione per la difesa del servizio pubblico (ASP)

 

Dagli anni Novanta anche in Svizzera la politica neoliberale prese il sopravvento e propose la privatizzazione di tutto quanto era redditizio: posta, telecomunicazioni, ferrovie, banche cantonali, sanità, aziende elettriche, INSAI (SUVA), radiotelevisione, e scuole. Una politica promossa dalla destra, ma sostanzialmente condivisa da tutte le forze politiche a livello federale, partito socialista e Verdi compresi. E in parte anche dai sindacati.

Viste le recenti gravissime proposte da parte dei responsabili della Posta, come vedremo più avanti, abbiamo ritenuto utile riassumere quanto successo in questi trent’anni nell’ex regia federale: le diverse decisioni, le posizioni degli attori: parlamento, CF, partiti, sindacati. Si potrà constatare la tenacia con la quale le nostre Autorità hanno perseguito l’obiettivo di ridimensionare il servizio pubblico postale, non trascurando di invocare argomenti fasulli, nonché l’ignavia di cui sovente caratterizzò l’atteggiamento delle forze progressiste.

 

 

La prima tappa:

la separazione delle PTT e la privatizzazione delle telecomunicazioni

 

Alla fine degli anni Novanta, le PTT (poste, telefoni, telegrafi) erano il più gande datore di lavoro della Svizzera (64’000 dipendenti) e generava annualmente 13 miliardi di cifra di affari. Da sempre forniva servizi di alta qualità a tutta la popolazione del nostro Paese. La natura giuridica di azienda pubblica non impedì alle PTT di essere attiva sul mercato mondiale e di essere tecnologicamente all’avanguardia. La Posta era deficitaria poiché le Autorità di allora avevano deciso di fornire servizi di qualità in ogni regione del Paese, anche la più discosta, costosa e non redditizia. Ma i disavanzi erano coperti dai cospicui guadagni delle telecomunicazioni.

Il 10 giugno 1996 il Consiglio federale propose di separare le PTT. Le Telecom PTT (ora Swisscom), redditizie, diventarono una società anonima e il 49% del capitale fu ceduto ai privati. La Posta, deficitaria, divenne un ente pubblico autonomo. La modifica di legge fu approvata il 30 aprile 1997. Secondo il CF “La sopravvivenza stessa delle PTT sarebbe stata compromessa senza i cambiamenti epocali proposti”. Era un argomento privo di valore, come lo dimostra ampiamente la storia della Posta. Fu la fine dei cosiddetti sussidi incrociati, avversati dall’Unione europea, ossia del compenso finanziario all’interno di una stessa azienda.

La proposta fu approvata dalla grandissima maggioranza del Parlamento e non ci fu nessun referendum. Perfino i sindacati e il partito socialista, incomprensibilmente, applaudirono alla privatizzazione. Dal profilo della salvaguardia del servizio pubblico fu un grave errore.

 

 

La seconda tappa:

rendere redditizia la Posta

 

Contrariamente alle telecomunicazioni, redditizie da sempre, come ho ricordato, la Posta era deficitaria. Per 150 anni ha realizzato un disavanzo medio annuale di circa 500 milioni di franchi. Il CF decise di rendere redditizia anche la Posta. Furono prese una serie di misure. Le più importanti furono la riduzione del numero degli uffici postali: essi passarono da 3476 nel 1999 a 769 nel 2023. Il personale divenne solo un fattore di costo: fu soppressa la garanzia contro i licenziamenti, aumentati i ritmi di lavoro, introdotti controlli di efficacia, soppresso l’obbligo di adeguare gli stipendi al rincaro, e aumentato il numero di interinali, con meno diritti e meno stipendio. Fu messo in discussione addirittura l’esistenza del contratto collettivo di lavoro.


Questa politica distruttiva, questa volta, fu contestata da un ampio fronte costituito dal Sindacato della comunicazione, dall’USS e dalle Associazioni dei consumatori, il quale decise nel 2002 il lancio di un’iniziativa popolare con la quale chiedeva di ripristinare i principi del servizio pubblico e la messa in atto nuovamente di una rete di uffici postali che coprisse tutto il territorio. L’iniziativa fu respinta di misura nel 2004, con il 50.2% dei voti. La sua accettazione avrebbe probabilmente messo fine al processo di distruzione.


Una seconda iniziativa di Syndicom, lanciata nel 2010, simile a quella del 2002, chiedeva anche la creazione di una banca postale. Non sapremo mai quale sarebbe stato l’esito di una votazione, poiché Syndicom nel 2012 ritirò l’iniziava, ritenendosi soddisfatto dalla promessa del CF di non liberalizzare totalmente il mercato delle lettere e di creare una banca postale. Il ritiro fu evidentemente un errore, perché le Autorità si sentirono libere di continuare nei loro obiettivi distruttivi, tanto più che il 20 maggio 2009, il CF aveva già licenziato il messaggio per la trasformazione della Posta in società anonima.


La terza tappa:

la trasformazione in SA


Il 17 dicembre 2010 il parlamento, con i voti contrari della sinistra, approvò la trasformazione della Posta in società anonima. Il CF intendeva avere la possibilità di procedere alla vendita delle azioni, fino al 49% del capitale azionario. Anche in questo caso non ci fu referendum. Fu un altro errore.

 


La quarta tappa:

l’accelerazione delle misure di risparmio


Da allora, la Posta ha subito fortissime trasformazioni. Ecco qualche esempio:

il servizio di distribuzione è peggiorato. Le raccomandate e i pacchi in precedenza erano consegnati all’entrata di ogni appartamento, ora al portone dello stabile. Bisogna ridurre i tempi improduttivi, decretò la Posta. È evidente il disagio, soprattutto per le persone con mobilità ridotta; 


non è più garantita la consegna della posta A entro 24 ore;

la posta non effettua più la distribuzione nelle case non raggiungibili in meno di due minuti (totale andate e ritorno);

un’ordinanza del CF (29 agosto 2012) prevede che gli uffici postali in Svizzera devono essere almeno 127. Il Cantone Zurigo, ad esempio, avrebbe diritto a 11 uffici postali, il Cantone Ticino a 5 e il cantone Ginevra a 1. Per compensare queste riduzioni furono create le agenzie. Contrariamente a quanto afferma il CF le stesse non sono però apprezzate dall’utenza, come lo dimostra il fatto che esse sono frequentate in media da sole 42 personae al giorno, contro le 392 degli uffici postali;


i responsabili della Posta affermano che il numero delle lettere è in fortissima diminuzione. La realtà è diversa. Esse ammontano ancora annualmente a due miliardi. Perfino PostReg (ora PostCom), l’organo di sorveglianza della Posta, dissente dalle posizioni del Consiglio di amministrazione;

 

la Posta ha pure adottato quelle che si possono definire una serie di attività dissuasive, cioè quelle che rendono meno facile l’accesso ai servizi postali. Ad esempio: l’aumento dei prezzi delle lettere; la diminuzione del numero delle bucalettere pubbliche; la limitazione del numero delle svuotature; la riduzione degli orari di apertura degli uffici postali; costi per i pagamenti agli sportelli (un pagamento tra i 100 e i 1000 franchi costa 2,35; le banche lo fanno gratuitamente).


Per raggiungere il loro scopo, come già ricordato, la Posta non ha mai esitato a fornire informazioni parziali, alla disinformazione, nonché a giocherellare con i conti.

 


La quinta tappa:

le volpi nel pollaio

 

Christian Levrat e Roberto Cirillo, presidente del Consi-
glio di amministrazione, rispettivamente direttore della 5 Posta, hanno recentemente presentato congiuntamente
con il CF una serie di proposte per la “modernizzazione e stabilizzazione finanziaria del servizio universale”.

Ecco i principali punti chiave:

    •    aumento dei tempi di distribuzione delle lettere e dei pacchi
    •    trasformazione digitale nel traffico dei pagamenti
    •    chiusura entro il 2026 di altri 170 uffici postali
    •    soppressione dell’obbligo di distribuire i giornali entro le 12.30
    •    distribuzione delle lettere solo un paio di giorni la settimana
    •    soppressione del pagamento in moneta presso l’autopostale

 

È evidente che la messa in pratica di queste proposte costituirebbe un gran brutto colpo per il servizio pubblico postale.

 


Conclusione


Da circa tre decenni, quindi, le Autorità federali stanno riducendo i servizi pubblici postali, con grave pregiudizio per i cittadini e le aziende. Le ultime proposte sono di una gravità incredibile. La soppressione della distribuzione dei giornali entro le 12.30, ad esempio, metterebbe in grave difficoltà tutti i quotidiani che non fanno parte di potenti gruppi finanziari. La soppressione della distribuzione delle lettere ogni giorno, provocherà la nascita di servizi privati, come per la distribuzione dei pacchi. Sarà insomma la fine della Posta svizzera.


Questa volta i partiti progressisti e i sindacati reagiranno con il necessario vigore?
O rimarranno ostaggi della loro comoda ignavia?


Questo contributo è stato scritto prima dell’arrivo dell’ultimo ukase della Posta con cui si chiudono in Ticino addirittura una ventina di uffici. Una vergogna senza pari.

 

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