di Pietro e Samia Majno-Hurst, medici
Siamo due genitori inquieti per i tagli di bilancio che minacciano l’educazione specializzata in Ticino e vorremmo condividere la storia di due nostri colleghi in Svizzera romanda, che raccontiamo con il loro permesso in forma anonimizzata.
Dopo un periodo dedicato alla loro formazione, i nostri amici hanno avuto Elena (1999) e un fratellino (2000). I rapporti tra i due bambini sono stati da subito molto difficili: le liti avevano una frequenza anormale, e i genitori dovevano separarli affinché non si facessero male. All’asilo, Elena non riusciva a sopportare le consegne, e il suo comportamento faceva deragliare le attività in comune.
Dall’età di 4 anni Elena ha cominciato un sostegno pedo-psichiatrico senza una precisa diagnosi, finché sono comparsi ripetuti tentativi di buttarsi dalla finestra e dal finestrino dell’auto in corsa, e percosse verso il fratello e i genitori, per piccolezze. La tensione era molto alta, costringendo i nostri amici a occuparsi ciascuno separatamente dei due bambini, la famiglia stava per sgretolarsi.
Dopo un ricovero in psichiatria all’età di 6 anni, è stata fatta la diagnosi di “sindrome bipolare a cicli rapidi” (oggi “disturbo da disregolazione dirompente dell’umore”), con un disturbo dello spettro autistico.
Elena ha cominciato in un Centro Psico-Educativo a tempo pieno: classi di 6-8 bambini con una Maestra e un Educatore in contemporanea, dove ha potuto progredire in sicurezza, al suo ritmo, in tutte le materie, e per la prima volta creare dei legami sia con i compagni che con gli adulti al di fuori della famiglia. A 13 anni Elena è stata ammessa alle Medie. La scuola portava attenzione non solo alle competenze scolastiche ma anche a quelle relazionali. Anche a casa il cambiamento è stato notevole: le sue esplosioni di aggressività diventavano sempre meno frequenti.
Alla fine delle Elementari la madre di Elena si è ammalata di un tumore ed è deceduta due anni dopo. Il quadro della classe, della quale Elena si è sempre sentita parte, e la relazione con gli insegnanti ai quali ha potuto affezionarsi, sono stati determinanti per sopportare questo periodo.
A 15 anni Elena ha trovato la sua via. Dopo uno stage alla biblioteca della sua città, ha cominciato un apprendistato in rilegatura, mirando all’obiettivo più facile di un Certificato di formazione pratica (Cfp). A 18 anni, nonostante uno scompenso e 6 mesi di tempo parziale per riaggiustare la terapia, ha potuto passare nella filiera per un Attestato federale di capacità (Afc), con il sostegno dei suoi insegnanti e dell’Ai. A 19 anni ha potuto andare a vivere in un internato vicino alla scuola, e infine arrivare alla Maturità professionale all’età di 23 anni. In seguito, Elena ha cercato un centro dove le fosse possibile approfondire le sue conoscenze, e si è trovata da sola una formazione superiore di un anno in Francia, specializzata nei libri antichi.
Elena è psicologicamente matura, profonda, affidabile, con alcune caratteristiche dello spettro autistico (esplicita, focalizzata, precisa ma non rapida nell’esecuzione, memoria notevole), legge libri o riviste, non guarda la televisione. Ha particolari doti pedagogiche e di pazienza che potrebbero essere di sostegno per degli apprendisti, soprattutto se avessero dei bisogni speciali.
Ora Elena lavora in una biblioteca della Svizzera tedesca, produttiva e felice. Lasciamo immaginare il sollievo e la gioia per i genitori, che temevano non sarebbe mai stata indipendente. Quest’anno l’Ai ha deciso che Elena non aveva più bisogno di aiuti. Non osiamo pensare cosa sarebbe stato di Elena e della sua famiglia se non avesse potuto avere il sostegno dell’istruzione specializzata del Cantone, e la continuità delle classi e dei docenti, dei quali parla ancora oggi con commozione. Quella di Elena non è una storia eccezionale.
Da questa e altre esperienze riteniamo che tagliare sulla pedagogia speciale sarebbe irresponsabile, perché in Ticino i bambini come Elena non avrebbero più le opportunità per far fiorire il loro potenziale. Inoltre, senza i colleghi della pedagogia speciale, tutti gli insegnanti avrebbero più difficoltà a gestire le loro classi. Sarebbe anche miope. Diversi studi hanno provato che investire nello sviluppo degli scolari in difficoltà fa risparmiare nel lungo termine, rendendo indipendenti, integrati e produttivi degli individui che altrimenti saranno marginalizzati, come illustrato dalla storia della nostra giovane amica.